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panorama

Juan Pablo Macías

Puebla 1974

Vive e lavora a Livorno

Studio visit di Marco Trulli
maggio 2022

Lo studio visit con Juan Pablo Macías inizia nell’uliveto che si trova a ridosso della sua abitazione di Livorno, uno spazio in cui ha passato molto tempo a pensare e a ideare nuovi progetti, soprattutto durante le fasi più dure della pandemia. Macías non ha un vero e proprio studio perché, pensando a Foucault, crede che la filosofia non si faccia più sulla scrivania ma penetrando la realtà, incontrando le diverse istituzioni sociali, confrontandosi con le grammatiche che la realtà propone e produce. Così, nell’epoca delle restrizioni, l’artista ha esplorato l’uliveto come luogo fertile di ascolto e ricerca e proprio qui sono state prodotte ricerche come On Air o lavori come Tuba tuba tuba e altri.

Macías trova scomoda l’etichetta di artista, piuttosto preferisce parlare di processi di ricerca creativa, in quanto si confronta con l’immagine come oggetto sociale, per aprire questioni legate alle gerarchizzazioni e alle strutture di potere insite nella realtà o nei nostri immaginari. A questa posizione ibrida Macías arriva dopo un’attenta lettura di quelli che definisce ‘pensatori dei margini’, filosofi che nella loro riflessione hanno affrontato in maniera critica le strutture di potere, da Diogene “il cane” a Spinoza fino a Deleuze.

Questo intento di decostruzione e di rilettura profonda della struttura dell’immagine lo porta presto ad approfondire il pensiero anarchico come connettore creativo di relazioni solidali tra umano e natura e riflette nel profondo l’intenzione dell’artista di generare processi di condivisione intorno ai sistemi di diffusione del sapere, al cui centro c’è la produzione editoriale. Proprio partendo dall’editoria, Macías, attualmente sta lavorando alla Società internazionale di studi proudhoniani, da una parte acquisendo libri sul pensiero anarchico da diverse case editrici per costruire quella che chiama “una biblioteca flottante”, dall’altra costruendo una comunità di lettori e potenziali ricercatori sul pensiero proudhoniano. Macías mette in discussione profondamente l’etichetta di artista, agisce artisticamente nella costruzione di percorsi di condivisione intorno a idee, saperi, processi creativi che possano ricollegare vita, piante, esseri di qualsiasi tipo, rifuggendo per quanto possibile ogni struttura capitalistica imposta e sperimentando così forme indipendenti di produzione. In questo senso, è significativo il progetto itinerante Mano-vuelta, sulla cultura e coltura del mais, che l’artista ha condotto in due diverse esperienze. Attraverso la fermentazione del mais, nel 2021 Macías ha realizzato una produzione di tesgüino all’interno di una galleria a Vienna. Dentro la galleria semivuota e con gli strumenti necessari per realizzare il processo di cottura e fermentazione, l’artista ha attivato un lavoro collaborativo che ha portato alla realizzazione della bevanda cerimoniale in bottiglia e fusti con l’etichetta mano-vuelta – Proudhon. La fermentazione è un processo metabolico che avviene per interazione tra batteri, enzimi, lieviti, liberando energia. La realizzazione della fermentazione della birra nello spazio bianco di una galleria, prevede una negazione degli standard espositivi oltre alla violazione di certificazioni di produzione alimentare. Utilizzando il mais zapalote chico, dal grande significato simbolico per i gruppi indigeni della zona dell’istmo di Tehuantepec, a Guilmi Macías ha avviato un lavoro di piantumazione che in qualche modo continua il lavoro iniziato nel 2014 con la Banca autonoma di sementi liberi da usura, avviando una serie di collaborazioni diverse sul territorio.

Nelle culture preispaniche l’origine sacra del mais è attribuita a una divinità che è protettrice delle arti così come dei campi di mais, questa comunanza esprime una simbiosi tra natura e uomo, agricoltura e poetica assolutamente inedita se paragonata alle culture occidentali. Da qui, Macías parte per associare alla piantumazione del mais nelle piane di Guilmi l’offerta di alcuni doni alla natura, proprio per riflettere in maniera ecosistemica sulla produzione artistica come parte di un sistema di relazioni empatiche e dialogiche con l’ambiente.

Sempre a proposito di progetti indipendenti, negli ultimi anni Macías ha realizzato il progetto Salvator Rosa, una galleria con un programma di circa venti mostre sotto un cavalcavia di Livorno, in uno spazio di risulta in cui è stata realizzata una struttura simile a un stand di una fiera. Salvator Rosa è un progetto collaborativo con il quale l’artista ripensa le condizioni e i rapporti economici nel mercato dell’arte. Inoltre, questo progetto nega tutta una serie di aspetti tradizionali di comunicazione e marketing degli eventi, dettati dal sistema dell’arte e dall’industria culturale, comunicando e raccontando gli eventi anche dopo la loro realizzazione.

Il pensiero radicale di Macías trova la sua sede più appropriata nella produzione editoriale, vero strumento di condivisione e diffusione dei saperi insurrezionali e degli archivi che l’artista messicano intende valorizzare secondo un concetto di editoria espansa, che dai libri deborda sul suo corpo attraverso i tatuaggi, o mediante scritte che realizza con punte di ogni tipo su pareti o piante. Rispetto ai libri, prodotti spesso ‘deviando’ i soldi del sistema dell’arte, l’artista sta riflettendo in maniera più strutturata sui sistemi di diffusione e distribuzione delle pubblicazioni, nell’intento di socializzare il pensiero anarchico attraverso quella che è una grande architettura relazionale e discorsiva di pratiche, pensieri e ricerche. Una pratica, quella di Macìas, che definisce una mappa di alternative possibili a un sistema dell’arte in cui i processi di produzione costruiscono dinamiche contraddittorie e troppo spesso alleate delle politiche liberiste.