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panorama

Josephine Sassu

Emsdetten (Germania), 1970

Vive e lavora a Banari

Studio visit di Nicolas Martino

Josephine Sassu, artista, ha studiato all’Accademia di Belle Arti “Mario Sironi” di Sassari, fucina di molti giovani talenti emersi nella seconda metà degli anni Novanta e ‘registrati’, proprio allora, in presa diretta da Giuliana Altea e Marco Magnani (curatori nel 1999 dell’importante mostra Atlante. Geografia e storia della giovane arte italiana, testimoniata dal catalogo edito da Politi e tenuta al Masedu – Museo d’arte Contemporanea di Sassari). A differenza di altri suoi coetanei che si sono trasferiti a Milano, Londra o Berlino, Sassu ha deciso di rimanere a vivere e lavorare in Sardegna, dove oggi affianca all’attività artistica quella didattica.

Nel ripercorrere il suo lavoro, attraverso le opere che sono in studio, i cataloghi e le opere che Josephine mi fa vedere online, viene subito in mente il riferimento a Italo Calvino, alla sua leggerezza e all’ironia come tratto caratteristico della produzione culturale post-moderna. L’atro riferimento, immediatamente artistico, è al genio infantile di Pino Pascali, con il quale Sassu condivide anche una certa passione per i mass media e soprattutto per l’impronta che la cultura di massa ha lasciato nelle diverse generazioni. Quelle cresciute, per esempio, con la tv a colori, i cartoni animati dei Barbapapà, le merendine Motta e i giocattoli della Lego. Un immaginario raccontato – con grande successo – dalla trasmissione Rai Anima mia condotta da Fabio Fazio e ideata, tra gli altri, da Tommaso Labranca. Molte sue opere sono, quindi, giocattoli – come già quelle dell’artista scomparso prematuramente nel 1968 – che uniscono alla dimensione ludica quella inquietante di un mondo che spesso – come nelle favole – è altro da quello che sembra: una fata è anche una strega, un giardino può diventare una foresta che inghiotte, un orsetto, come nel film Gremlins, può trasformarsi in un mostro. Il lavoro della Sassu si muove al confine tra ciò che è quotidiano e familiare e l’Unheimliche, il perturbante di freudiana memoria, in uno spazio liminare che spesso, però, – quando siamo bambini – non ha confini ben definiti.

Una recente mostra, negli spazi del museo di arte ambientale “Organica” nel parco del Limbara, a cura di Giannella Demuro, risulta particolarmente interessante per ‘entrare’ nel lavoro dell’artista. Il titolo, Se non posso ritornare scimmia provo a diventare giardino, esprime il senso del paradosso di marca dadaista, e al tempo stesso sintetizza l’interesse per il ritratto come auto-analisi: in una serie di fotografie di grandi dimensioni Sassu si è ritratta con il volto coperto, di volta in volta, di elementi vegetali diversi, dando vita a una sorta di progressiva auto-trasformazione in giardino. Se da un lato questo lavoro esprime l’interesse per il narcisismo patologico che scaturisce dalla mania di massa dei selfie, dall’altro entra nel cuore di una ricerca contemporanea che rimette in discussione i confini, stabiliti molti secoli fa, tra i diversi regni naturali – quello minerale, animale e umano – evocando un’unità del vivente che si dà in modi diversi ma senza gerarchie, in una continua metamorfosi che sembra attraversare, sempre di più, tutto ciò che esiste.

È probabilmente intorno a questa capacità di tenere insieme nello stesso registro temi seri e leggeri, o se vogliamo quelle che una volta si sarebbero chiamate high culture e low culture, che risiede l’importanza di questa pratica artistica, all’interno di una ibridazione delle culture che mette fuori gioco austerità e seriosità d’altri tempi. Insomma, un’attitudine simile a quella di certa pop-filosofia che si occupa di temi cosiddetti leggeri perché lì trova la chiave di volta per comprendere i fenomeni emergenti del contemporaneo.

D’altra parte, proprio questa attitudine, ci porta a pensare che tutto il lavoro ne potrebbe guadagnare ulteriormente se trovasse l’occasione di trasformarsi in pratica didattica diffusa sul territorio, ovvero se si facesse essa stessa, sempre di più, metodo pedagogico rivolto sì alle generazioni di artisti più giovani, ma anche alla cittadinanza tutta che ne guadagnerebbe in salute e autonomia.