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panorama

Ivano Troisi

Salerno 1984

Vive e lavora a Santa Tecla e ad Arezzo

Studio visit di Marcello Francolini
febbraio 2022

Potremmo iniziare, parlando di Ivano Troisi, col dire che il suo lavoro è incentrato sul mondo della natura. A incontrarlo nel suo studio, però, ci si rende conto che è solo un riflesso di un habitat più grande, dove la “natura” è la figurazione propria di una scelta, parafrasando Junger, un “passare al bosco”. In definitiva, a stare nello studio di Ivano Troisi non si può non ‘sentire’ il paesaggio, quello visto lungo la strada per arrivare alla frazione di Santa Tecla, che viene fuori dalla pietra e dal legno del bosco che la cinge senza fine all’orizzonte. Qui, nello studio, tutto ‘questo’ sembra essere a proposito di ‘quello’ nel bosco di San Benedetto. Le sue carte, con fibra di cotone o washi, prodotte alla fonte Sette bocche, nei resti della tenuta termale borbonica, sono come base per i campionari delle diverse piante che, estratte, danno la varietà dei colori. Foglie di quercia rossa, legni di salice d’argento, di castagno, particolari legnosi da ulivi o foglie d’agave e altri, divengono l’archivio delle forme tipologiche, che si presentano in una ricombinazione variegata, un alfabeto proprio dell’artista. D’altronde nell’ambiente di lavoro, su un grande tavolo da disegno architettonico, ma senza il tecnigrafo (più adatto alle proiezioni di figure piuttosto che a impressioni di cose), posto sotto un’ampia finestra, il paesaggio fa da eco a quello dell’opera, che compare come screen shot del PC. Rito Arborio (2020), un’opera ambientale nel Castello di Lajone a Quattordio (Piemonte), non è però a proposito della natura, ma del modo in cui dalla natura traiamo forma per gli insegnamenti giusti, come nei riti ancestrali, del Maggio di San Giuliano di Accettura (Basilicata). Il tempo della comunione di un cerro di Montepiano e una pianta d’agrifoglio di Gallipoli, scandisce il momento propizio dell’unione tra cose che sono poi in virtù di significati come una trave del Castello e una quercia del bosco di presso, in una simbiosi allegorica in cui il naturale e lo storico fecondano. Ma Sentire il paesaggio (2019-2022) è poi il nome di un progetto che l’artista porta avanti in un senso in cui il site-specific è il teatro in cui i materiali non mostrano sé stessi, ma imitano le qualità e le mutazioni, il cui modo e tempo sono carpiti dall’artista in una possibilità di descrizione formale da cui è possibile per correlazione, riconoscervi comportamenti e credenze portatrici di un’antica conoscenza. Per sottolineare ancora come le opere di Troisi non espongano semplicemente i propri materiali, ma operino in modo operazionale secondo meccanismi simbolico-analogici, sarebbe il caso di menzionare una recente serie di lavori, Nel vento (2021-2022), per rendersi conto di come una volta individuata una forma tipologica (un elemento alfabetico come su detto), essa venga impiegata come logos, al cui interno le contraddizioni possano apparire e risolversi. In effetti una forma-foglia in ottone non se ne sta su un piedistallo come scultura fisica, concreta. La sua concretezza è solo un modo per aumentarne la sua presenza contraddittoria di una foglia che se ne sta appesa su di un albero in autunno (Central-Park, NY, USA 2019). Essa sta dove non dovrebbe. Nello stare, sottolinea l’assenza delle caducifoglie ma anche preannuncia la loro prossima rivenuta. Ma di più, la sua stabilità accentuata dalla luce che dora l’ottone, è contrapposta a una superfice mossa dal vento come figurazione della vibrazione dei corpi. Così, tra corpo-foglia e corpo-umano, è condivisa anche la medesima consumazione della forma, da esteriore a interiore, da involucro a scheletro, indagata questa volta sulla bidimensionalità della tela. La sua pratica risente di quell’universalismo pittorico di cui la nuova generazione di artisti italiani si nutre per opporre un’immagine incompleta a quella definitiva del mondo informazionale. Ma a volte si rischia, soprattutto nel caso di chi sussume il mondo naturale come archivio, di cadere in una riduzione poverista, che se da un lato è conforme a un’esigenza di galleria, dall’altro rischia, nella sua immediatezza, di reiterare stilemi ormai passati, basati sul commiserarsi nel contrasto di materie naturali e artificiali, come nel caso dei Light-Box o dei Sussurri. Bisogna incedere su quei punti di forza, che come abbiamo cercato di sottolineare, sono quest’attitudine alle azioni mentali, come in the Rethinking Nature (Museo MADRE, Napoli 2021), dove la dimensione formale è solo un modo di rendere in figura la somma di più addendi per lasciare il risultato come un’azione correlativa nella mente dello spettatore. Questa mobilità, questa movimentazione cognitiva-interpretativa rende di nuovo il senso dell’opera d’arte come “messa in opera della verità” (Heidegger 1935).

Ivano Troisi, mentre produce la carta alla fonte sette bocche a Santa Tecla, 2022, courtesy l’artista
Ivano Troisi, vista dello studio, in alto a destra, l’opera nel vento, 2022, courtesy l’artista