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panorama

Iva Lulashi

Tirana 1988

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Giacinto Di Pietrantonio con Adrian Paci

Iva Lulashi vive in Italia dal 1990, dove fin da piccola disegna molto ma, all’età della ragione si iscrive a Ragioneria, dove più che far di conto passa il tempo a ritrarre i professori. Uno di loro, accortosi del suo talento, inizia a prestarle libri d’arte che la incuriosiscono e la portano, dopo il diploma, all’Accademia di Belle Arti di Venezia per seguire il corso di Pittura di Carlo Di Raco. Qui inizia il percorso, comune a molti giovani artisti, delle residenze, tra cui quella di Art House a Scutari, fondato da Adrian Paci, in cui viene notata da Rischa Paterlini per la collezione di Giuseppe Iannaccone. Oggi che la sua è una presenza nota nel panorama artistico italiano ci dice che: «Sono serena, non ho ansia di prestazione, cerco di stare con i piedi per terra, tenendo tutto sotto controllo». Nel suo studio, visitato insieme ad Adrian Paci, troviamo poche opere e tutte di tre-quattro anni fa, in quanto il resto è via per mostre. Ci racconta: «Sono in un momento di pausa, perché ho lavorato troppo e quindi sto facendo ricerca per capire come proseguire, se solo con la pittura o aggiungere altro come foto, video. L’unica novità è che ho ripreso a disegnare, cosa che avevo abbandonato da 10 anni». Un rallentare per progettare che dimostra una certa maturità. Iniziamo allora a parlare del processo dell’opera, dal pensiero al progetto alla realizzazione. Ci fa notare che il quadro arriva dopo una lunga ricerca di immagini, soprattutto di vecchi film erotici e porno, ma non solo, frame selezionati e a volte elaborati al computer e poi tradotti in pittura a olio su tela. Inizia tracciando un disegno che poi ricopre, velatura dopo velatura, di pittura stratificata e fresca. Parlando di quello che c’è, ci soffermiamo su opere di tre anni fa ispirate a filmati erotici e pornografici, quadri relativi a un tempo in cui non si era ancora addentrata nel porno cinematografico. Sono quadri appartenenti al periodo che chiama ‘Eroticommunism’, e ne indica uno che rappresenta un monumento albanese del periodo comunista di una mano che impugna un fucile in verticale, allusione alla masturbazione che attiva una relazione tra propaganda comunista ed erotismo. L’artista aggiunge che questa sensualità erotico-pornografica dipende anche dalla relazione tra le immagini, ad esempio tra quelle relative a ragazze che fanno ginnastica collettiva con quelle erotiche di film in cui tutti sono vestiti allo stesso modo.

L’artista, pur non avendo vissuto sotto il regime comunista, è interessata anche alle problematiche censorie presenti in ogni regime, ma su cui Adrian Paci afferma: «Vedo nelle opere di Iva certamente la dimensione sensuale, però non tanto legata al soggetto, quanto al corpo come soggetto della pittura, come traccia sensuale, misteriosa ed enigmatica, che per me è il punto forte del suo lavoro. Insomma, un erotismo di tutto il corpo pittorico dal modellato alla luce, perché esso non esalta le immagini pornografiche, anzi le nasconde, portando un po’ di dubbio». La pittura di Lulashi è interrogativa già agli inizi, quando la tavolozza era in bianco e nero con tutta la sua varietà di grigi, visto che i riferimenti erano le fotografie dell’album di famiglia, una pittura intima e privata, dunque, attraverso cui cercare di ritrovare le radici mai vissute ma sentite raccontare. Elaborazione della nostalgia e della memoria, aggiunge Paci: «Nei lavori di Iva quella atmosfera un po’ nostalgica ha un sapore d’altri tempi, dove il corpo, sia come soggetto pittorico sia come corpo della pittura, è avvolto da un’atmosfera fuori tempo. Qui, il suo rapporto con il comunismo è accennato nella forma della presenza autoritaria di un potere che mette i corpi nella condizione di essere dominati. Una pittura in cui c’è una zona di attrazione e problematicità che non è una denuncia del comunismo, ma un guardare l’esercizio di potere spostandolo su sensualità, erotismo, pornografia». Va detto anche che il bianco e nero è di per sé il colore della nostalgia e della memoria, che l’artista stempera successivamente con una nuova tavolozza fatta di colori accesi, in quanto, come detto, passa a riferimenti filmici da cui trae un linguaggio pittorico collettivo. Sempre Paci, dice: «La pittura è un linguaggio collettivo, dove l’Albania è un piccolo spazio che si mescola con altro, creando dei territori altri; così come si esce dall’Albania per andare verso il porno e, dal porno, a una scena contadina, da cui si esce per toccare un po’ il cinema. Territori che si contaminano e la pittura diventa un terreno di contaminazione, una zona di mescolanza e di dubbio su qualcosa che ti appartiene, anche di ciò che non conosci». Guardando le sue opere non si pensa all’Albania o al comunismo, ma alla pittura, alla sua storia e al suo sviluppo, all’interno di quella tradizione dell’arte che mostra, utilizza, qualcosa per parlare d’altro.