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panorama

Ian Tweedy

Hahn 1982

Vive e lavora a New York

Studio visit di Elisa Carollo

Ian Tweedy è un artista nato all’interno di una base americana in Germania, per poi passare gran parte della sua formazione e primi passi della carriera in Italia. Il suo lavoro è fondato sulla pratica dell’archivio: un collezionare quasi ossessivo di frammenti visivi, detriti e rigurgiti di immagini della nostra era contemporanea. Le immagini, raccolte ed estrapolate dai loro contesti, vengono trasferite sulla tela in una pratica che ne permette un’attenta appropriazione dei soggetti e delle relative implicazioni socio/politiche, ma anche già una manipolazione delle immagini stesse, che allude alla loro storia e al loro inevitabile destino.

Con le sue opere Tweedy esplora un bisogno di storie della nostra epoca che viene soddisfatto tramite il consumo, per lo più inconsapevole, di un flusso costante delle immagini che ci circonda. Lo sforzo che sostanzia tale lavoro è quello di adottare, e quindi potenzialmente ispirare, un diverso spirito critico nei confronti di queste fonti di narrazioni visive. C’è infatti una volontà di smascherare i meccanismi di lettura e significazione che si celano nella costante ma studiata produzione di immagini e iconografie ‘modello’ per i comportamenti della nostra società. Andando più nello specifico, alla base della sua ricerca vi è una riflessione sui conflitti concettuali ed etici tra i modelli proposti da una cultura visiva come quella europea, già ricca di identità e iconografie sedimentate, e quella del “fast consuming” americana, che in qualche modo si è imposta a livello globale. Tweedy rivela i meccanismi di quest’ultima e come sia fondata su una bulimia visiva volta a soddisfare rapidamente un bisogno ormai inconscio di narrazioni, che rimane però il più delle volte in superficie. In tal modo, l’artista fa riferimento anche alla problematica di un’identità ancora da definire, o meglio da accettare, all’interno della società americana. Ian vive, infatti, in maniera molto sentita questo conflitto, partendo da una prospettiva diasporica e displaced di chi è rientrato in America ed è ora immerso in questa cultura, ma si è formato e si sente più vicino a quella europea.

Esplorando e sostanziandosi di tutte queste implicazioni sociopolitiche e semiotiche, la sua è una pittura più mentale che figurativa: volontariamente, le narrazioni vengono frammentate, decostruite, per aprirle a nuove letture e al contempo a una investigazione del meaning-making process quando leggiamo delle immagini. L’idea è di trovarvi la struttura essenziale, riducendo le immagini a quegli elementi significanti minimi che ne creano il messaggio.

Questo è evidente in recenti sperimentazioni dove il tratto pittorico si fa più grafico, per quanto comunque realizzato a olio. L’apparenza di sketchbook dà a queste immagini una forma ancora in fieri, di analisi aperta. La sfida, per Tweedy, è quella di non cadere nella tentazione di un figurativo più semplice e ammiccante al gusto contemporaneo. Il rischio, però, è quello di risultare eccessivamente criptico e mentale, inaccessibile all’osservatore o perfino troppo caotico per stimolare un apprezzamento propriamente estetico. Un aspetto, infatti, che rischia di compromettere il suo lavoro è, talvolta, una ipersaturazione delle immagini sulla tela, che può risultare in composizioni ‘troppo piene’ e confusionarie. Come lui stesso ammette, basandosi la sua pratica su un processo di raccolta e accumulazione di immagini, non è facile capire quando sia opportuno interrompere il processo. Queste narrazioni visive così frammentate appaiono quindi spesso non concluse e, per questo, di non facile lettura. Già più ammiccanti al gusto d’oggi sono invece alcuni dipinti recenti: in questo caso l’accumulo esasperato di corpi e figure si dilata in singoli personaggi quali punti d’attracco chiave, circondati da ampie e dense campiture di colore, a esprimere uno stato emozionale/mentale, più che un preciso spazio fisico.

Per quanto dalla nostra conversazione emerga come questo sia un momento di passaggio, Ian dimostra una profonda consapevolezza del proprio lavoro e della propria ricerca. Le sue parole rivelano una chiara tensione volta a mantenere l’integrità della propria cifra stilistica, oltre a rendere coerente e peculiare il suo approccio alla pittura come medium di analisi di un conflitto fra modelli culturali, oggi quanto mai attuale.