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panorama

Guglielmo Castelli

Torino 1987
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Marco Bassan
8 marzo 2024

Forse tra i pittori italiani più interessanti della sua generazione, come riconosciuto dalle gallerie internazionali Mendes Wood e Rodeo che lo hanno accolto in scuderia, dopo molti anni di pratica artistica Castelli finalmente trova il coraggio di superare la sindrome dell’impostore e si definisce pubblicamente come pittore. La sua formazione, infatti, nasce dalle contaminazioni con mondi diversi dalla pittura, come il teatro, la moda e la scenografia e si rifà ad essi costantemente per attingere e alimentare il proprio immaginario.

Abitando dunque mondi lontani tra loro, cerca di tenere insieme nei suoi quadri elementi che, apparentemente, non possono convivere. Si lascia ispirare da pittori, preferibilmente del passato, come Licini, Matisse, Balthus, Brueghel, ma anche da disegni e pratiche giapponesi per raffinare un processo che mira alla perfezione, per poi superarla a favore di un nuovo turbine di pulsioni e desideri per la forma.

Le opere pittoriche di Castelli sono l’ultima fase di un processo di accumulo che viene documentato in piccoli carnet de voyage che lo accompagnano costantemente. D’altronde Castelli si definisce un ‘trovarobe’, come coloro che nelle compagnie teatrali di giro provvedevano all’allestimento del materiale scenico. L’artista, come se fosse nello spazio teatrale, si approccia alla progetto pittorico allestendo la scena nella sua mente e poi immergendosi nel flusso. Per Castelli Lo spazio della pittura è stretto, forse strettissimo come quello spazio vitale che c’è fra cacciatore e preda. La sua pratica è caratterizzata dall’equilibrio tra una attenta progettazione e la capacità di far fluire sulla tela le proprie visioni, una tensione che permette di realizzare forme e scene che emergono in maniera organica e non costruita, in uno sbocciare di figure che si confondono con lo sfondo che le ospita. Un rapporto, quello tra figura e sfondo, estremamente intimo perché campo di battaglia delle lotte interiori dell’artista, tra desiderio di astrazione e necessità di mettere in scena i propri desideri attraverso forme, corpi e oggetti.

Le rappresentazioni dei suoi quadri possono sembrare immagini del mondo che lo circonda ma in realtà afferiscono a un teatro interiore poi messo in scena pubblicamente. Ogni figura è un desiderio e, raffinando internamente le proprie pulsioni, l’artista potrà forse giungere, o forse mai, alla completa astrazione.

Lo scorso anno Castelli ha realizzato la sua prima mostra personale a New York presso Mendes Wood e, in questo momento, è a Roma con una personale all’Accademia di Francia di Villa Medici. In concomitanza con la prossima Biennale di Venezia sarà poi alla Fondazione Bevilacqua La Masa con una personale curata da Milovan Farronato.

Inevitabilmente all’interno della sua pratica si ritrovano suggestioni che provengono da pittori a lui contemporanei, soprattutto negli sguardi e nei volti e a volte la sua capacità di equilibrare le composizioni dei paesaggi umani che mette in scena porta con sé il rischio di indebolire la carica simbolica del lavoro.

La pittura di Castelli ha oramai trovato una sua cifra nel panorama internazionale e si nutre della molteplicità di stimoli e ispirazioni che l’artista porta dentro il proprio processo di ricerca. Una pittura che rimane misteriosa e intrigante, capace di far soffermare lo spettatore di fronte al quadro in cerca di un punto d’inizio e di fine della scena, ricerca vana perché in essa tutto accade simultaneamente, frutto com’è di molteplici mondi interiori che si accavallano e si compongono stando a forza insieme all’interno della cornice.