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panorama

Giulio Scalisi

Salemi 1992

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Edoardo De Cobelli

Oltre che uno degli artisti italiani più rappresentativi della sua generazione, Giulio Scalisi è anche uno dei più capaci a rappresentarla: a raccontarne i paradossi, le schizofrenie, le fissazioni, le dipendenze, senza però sottrarsi al desiderio di offrire un ritratto più ampio della società contemporanea. Nato a Salemi da famiglia siciliana, Scalisi vive e lavora a Milano da anni, nel suo studio che è anche casa: a una scrivania, dove fa quasi tutto, scrive fumetti, una passione che l’ha sempre accompagnato e che lo avvicina a varie riviste, una tra tutte “Frankenstein Magazine”, fin dal primo numero; ma principalmente lavora al computer, creando video, animazioni e scenari distopici, in cui ricrea universi immaginari governati da personaggi e regole proprie. Sono spesso vagabondaggi solitari, quelli dei protagonisti, figure che subiscono, più che vivere, la loro condizione. Una condizione che riprende, portandole alle estreme conseguenze, le problematiche che viviamo oggi, come la distanza sociale o l’irrazionalità di alcune teorie complottiste della rete. Gli universi di Scalisi si riversano tuttavia anche nel reale, attraverso una serie di opere fisiche: sculture, oggetti e poster esposti che riconosciamo all’interno dei video. A Gentlemen House, mostra personale ospitata la scorsa estate alla Kunsthalle Lissabon, ne è un esempio: narra la giornata tipica del protagonista, isolato nella sua abitazione a causa di una carenza esterna d’ossigeno, dove svolge le sue attività in totale solitudine, fatta eccezione per la dimensione virtuale del sociale, continuamente filtrata da un’intelligenza artificiale. La giornata va ad analizzare tutti gli aspetti della vita quotidiana: wellness e fitness, outfit e fashion, rappresentazione social e idea di simulacro, l’autocensura come mediazione, il politically correct… in un orizzonte che non lascia più alcuna autorialità al protagonista, ormai esautorato da sé stesso. La casa dove abita Paul Sebeth, The Obelisk, è una costruzione a forma fallica, uno dei tanti cortocircuiti narrativi sarcastici attraverso cui Scalisi sollazza tanto sé stesso quanto lo spettatore, in un mondo di fiction tra il serio e il faceto.

Sebbene il lavoro di Scalisi rientri nell’ambito della fiction speculativa, ormai pratica artistica abituale, oltre che concetto teorico diffuso (e abusato) nella teoria dell’arte contemporanea, è giusto fare delle distinzioni: quello della fiction speculativa è infatti un approccio sostanzialmente neutro, che assume valenza politica perché permette di ovviare alla reale depoliticizzazione dell’arte contemporanea. Ma l’artista può avvalersene in questo senso o meno: piuttosto che immaginare futuri alternativi, Scalisi sembra far sua la teoria di Coleridge sulla “sospensione dell’incredulità”: la creazione di uno scenario che fornisce i propri elementi semiotici e linguistici di interpretazione. Lo spettatore deve immergersi nell’universo semantico dell’opera per capirne i codici, calarsi nel personaggio. A quel punto, da un universo apparentemente utopico e straniante si coglieranno gli evidenti riferimenti al reale, che fanno del suo lavoro un’opera più vicina a noi di quanto possa a un primo sguardo apparire.

Dopo le mostre estive, l’artista si è dedicato a forme di narrativa alternative all’arte contemporanea strettamente intesa. In particolare, ha scritto la sua prima storia a quattro mani con Dario Guccio su un’idea di Mariuccia Casadio, per poi realizzare una narrazione a puntate, la prima delle quali è apparsa sull’ottavo numero di “Frankenstein Magazine”.

Se proprio dovessimo trovare un limite nella pratica dell’artista, non sarebbe frutto di una sua mancanza, quanto piuttosto della debolezza del sistema dell’arte italiano. La sua visionarietà trova, infatti, piena espressione nella capacità tecnica di creazione tanto attraverso il disegno quanto l’animazione digitale. Stenta però il riconoscimento a livello istituzionale, che è forse più facile raggiungere all’estero, come testimoniato dalla sua attività espositiva.