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panorama

Giovanni Giaretta

Padova 1983

Vive e lavora ad Amsterdam

Studio visit di Alessandra Troncone

Attualmente in procinto di trasferire il suo studio, Giovanni Giaretta vive ormai da nove anni ad Amsterdam, dove è arrivato nel 2013 per il programma di residenze d’artista al De Ateliers. Prima di approdare nella capitale olandese, ha studiato Storia e didattica dell’arte all’Accademia di Brera e poi allo IUAV di Venezia, frequentando contemporaneamente lezioni di antropologia all’Università di Milano-Bicocca. Il fascino per questa disciplina ha poi aperto una strada di ricerca che, incontrando il linguaggio cinematografico, ha preso forma nei progetti più distintivi dell’artista, sviluppati anche nel corso di numerose residenze internazionali: Dena Foundation a Parigi, Fondazione Antonio Ratti a Como, MACRO a Roma e, appunto, De Ateliers ad Amsterdam.

Già a partire dai primi lavori, Giaretta esplora enigma e inganno come strumenti in grado di plasmare l’immaginario comune, rintracciando nella materia reale possibili “effetti speciali” che rendono labile il confine tra realtà e fiction. In particolare, in Moon (2009) uno specchio sporco proietta magicamente una luna piena, mentre in Untitled (Misteri d’Italia) del 2015, ispirato a una raccolta di articoli di Dino Buzzati, l’artista documenta attraverso immagini reperite in rete fenomeni misteriosi avvenuti in varie zone d’Italia, che diventano una collezione di ‘effetti speciali’ presenti in natura. Con An Inaccurate Distance (2014), primo capitolo di una trilogia video che include The Sailor (2017) e Words Words Words Are Decorative Sounds (2020), la lingua entra in gioco come veicolo di immaginazione e strumento in grado di attribuire concretezza alla narrazione, dispositivo di proiezione in contesti ignoti che proprio le parole permettono di costruire (e ricostruire) con accuratezza, seppur sganciate dall’esperienza reale.

Altro filone su cui si muove l’artista, che più si lega a un discorso generazionale, è un omaggio al cinema di genere, con un particolare focus sugli anni ’70 e ’80: attingendo agli aspetti formali e stilistici della produzione filmica di questi decenni, Giaretta fa leva su immagini sedimentate nel nostro inconscio linguistico e cinematografico per indagare archetipi della rappresentazione, come ad esempio quello della casa abbandonata nei film horror – che in La casa (ostinato crescendo), del 2018, animandosi diventa, da scenografia, personaggio principale – o quello della caverna in Ruin of a Fiction (2021), ispirato a un articolo di Robert Smithson del 1972 che lega l’immagine della caverna a un altrove possibile, la cui protagonista è una roccia parlante.

Al momento di questo studio visit Giaretta sta portando avanti un progetto di ricerca sostenuto da Mondriaan Fund dal titolo Geology of Imagination, dove torna la presenza del mondo minerale quale possibile archivio di forme in potenza: la sintesi del contributo naturale e di quello artificiale genera nuove possibilità narrative che ancora una volta si basano sulla proiezione di contenuti immaginifici nella realtà esistente. Nella doppia personale di recente inaugurata al Museo Burel a Belluno, calarsi nel punto di vista di una montagna diventa un processo di scavo fisico e mentale che mira a mettere in luce un paesaggio invisibile fatto di micro-elementi nascosti, come emerge anche dall’ingrandimento di un frottage a parete che restituisce la texture di pietre e pareti rocciose.

L’uscita dal linguaggio puramente cinematografico, con la realizzazione di installazioni, stampe e altri oggetti, se da una parte mira a espandere il discorso inglobando anche l’elemento della scrittura, che da sempre è fondante nella pratica dell’artista, dall’altra rischia, in alcuni casi, di indebolire la compattezza concettuale di partenza, pur tenendo saldo il risultato estetico-formale.

Al contrario, la ricerca sull’immagine video che evolve nell’idea di “scultura in movimento”, come definita dallo stesso artista, la molteplicità di riferimenti e lo slancio verso l’auto-etnografia, sfociano in una ricerca coerente e per molti aspetti dall’approdo non scontato, che mette in discussione la visione antropocentrica senza tuttavia mai banalizzarne i risvolti, lasciando aperto a nuove letture e suggestioni il nodo del rapporto tra essere umano e natura.