Verona 1992
Vive e lavora a Milano e a Verona
Studio visit di Elisa Carollo
Giovanni Chiamenti è un artista transdisciplinare la cui pratica intercetta temi come la simpoiesi e la simbiogenesis fra antropico e naturale, per un superamento dell’Antropocene e la formulazione di paradigmi alternativi di sopravvivenza del pianeta e coesistenza tra specie. Alla base della sua ricerca c’è da sempre un’osservazione attenta della natura e del paesaggio, che si è tradotta inizialmente in una pratica che assecondava il plasmarsi della forma d’arte tramite processi naturali. Da qui, Chiamenti si è però poi mosso verso un’esplorazione sempre più approfondita e sincronica dei materiali e delle tecniche quanto dei processi naturali; di come la techné, nel suo tentativo di antropizzazione del mondo, finisca spesso a mimare fenomeni naturali. Questo si è tradotto, ad esempio, in una serie di opere che testano la capacità della tecnica di comprendere e simulare la natura. Un esempio emblematico è la serie Marbleau (2019), costituita da cartografie immaginarie che partono dal reale per giocare in ambiguità fra postproduzione digitale e realizzazione tecnica dell’opera, in realtà tramite una tecnica altamente manuale, come il bulino su stampa.
Questo tipo di analisi dei materiali e dei processi ha portato successivamente l’artista a sviluppare un interesse più approfondito nelle scienze, sebbene ancorato a un approccio umanistico di analisi dell’intervento antropico sul pianeta, intraprendendo una ricerca sull’adattamento degli esseri viventi a condizioni ambientali sempre più estreme.
A oggi, la pratica di Chiamenti opera così nell’intersezione tra arte, biologia, biotecnologie e chimica, prevedendo uno scambio costante con esperti di questi ambiti, che l’artista ha potuto avviare a partire dalla sua residenza presso la NARS Foundation a New York. Qui in particolare, come ci racconta, Chiamenti è entrato in contatto con il Community Biolab Genspace, che gli ha permesso di approfondire gli studi sullo sviluppo di bioplastiche, come poi su organismi che già in qualche modo stanno “adattandosi” a metabolizzare i residui dell’attività umana. Il risultato è stato il progetto Interspecies Kin, presentato per la prima volta a Spazio Volta (Bergamo) e in cui si immagina già un “Plastocene” (Chris Skinner) di ibridazioni tra animali e piante che potrebbero svilupparsi sul pianeta in un prossimo futuro, in grado di integrare nel loro processo evolutivo le microplastiche prodotte dall’uomo e quindi di diventare anch’esse parzialmente di plastica. Qualcosa in realtà già in atto, come ci rivela l’artista e la recente pubblicazione scientifica/estetica realizzata, con la scoperta di funghi marini che si alimentano di microplastiche depositate sui fondali. Da qui, l’artista ha iniziato a sviluppare anche un nuovo glossario organico di neologismi che descrivono ibridazioni future possibili fra specie e residui plastici, che hanno trovato traduzione in affascinanti creazioni ceramiche e termoplastiche, le ultime delle quali presentate anche a MIart. Un esempio è Πλαστιλεῖμμα (Plastileimma), una serie di opere in ceramica e termoplastica appartenenti al progetto, il cui titolo è appunto un neologismo coniato dall’artista che potrebbe essere tradotto in “discendente della plasmabilità”.
Muovendosi ai confini tra sci-fi e fantastico, ma radicando la sua ricerca su approfonditi studi scientifici, la pratica di Chiamenti trova la sua rilevanza nel contesto attuale per la capacità di immaginare proposizioni positive di una nuova era di simbiosi uomo/natura. D’altra parte, lo scenario proposto da Chiamenti pare rafforzare ancora una volta il dominio del genius umano su un mondo naturale che si dovrebbe “semplicemente” adattare ai danni arrecati. L’artista prefigura infatti nuovi equilibri di sostenibilità antropocentrica, che paiono però scoraggiare alcun intervento a rimedio, nell’ottica di una più equa distribuzione di spazi e risorse.