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panorama

Giorgia Garzilli

Napoli 1992

Vive e lavora a Napoli

Studio visit di Alessandra Troncone

Nel cortile di un palazzo della centralissima via Mezzocannone, un’imponente porta in stile liberty si apre sullo studio di Giorgia Garzilli. Un unico spazio, non troppo grande ma ben illuminato da una grande finestra, accoglie stratificati l’uno sull’altro i lavori più recenti dell’artista, mentre due tele immacolate campeggiano su una pannellatura di legno che funge da telaio. Garzilli fa parte di quel novero di artisti che, dopo rilevanti esperienze di formazione all’estero, sono ritornati nel capoluogo campano. Nel caso specifico, dopo gli studi di cinematografia documentaria all’Università Suor Orsola Benincasa, Garzilli si è formata presso la HEAD – Haute école d’art et de design di Ginevra, per poi trascorrere un periodo presso la Mountain School of Arts fondata a Los Angeles da Piero Golia ed Eric Wesley.

Il suo medium è essenzialmente quello pittorico, approcciato da autodidatta e declinato in formati diversi, che vanno da quelli quasi tascabili a tele di grande formato. Al primo caso afferiscono i dipinti presentati nella doppia personale con Effe Minelli presso Spazio Tarsia a Napoli nel 2019, ritratti di persone e animali da cui emerge la centralità della bocca. Gesti quotidiani e sorrisi inquietanti si alternano in questa serie, mettendo in luce l’ambiguità dei personaggi raffigurati, sui quali aleggia una componente oscura, seppur non meglio definita. L’incarnato livido contrasta con il biancore dei denti, mentre i lunghi titoli con i quali si presentano contribuiscono ad accentuare il loro aspetto enigmatico. Dal formato più grande e dalla narrazione più complessa sono invece le opere esposte quest’anno in occasione della personale nello spazio napoletano della galleria viennese Vin Vin, che mettono in scena un ricco immaginario dai toni surreali, dove si rintracciano elementi ricorrenti che, nella loro regolarità, sembrano avere la funzione di punti di approdo in un ampio bacino di suggestioni e fonti diverse. Frammenti corporei – piedi, mani, orecchie – accennano a una presenza umana che però non si manifesta mai nella sua interezza, relegata a rivestire un ruolo paritario rispetto ad altri elementi in gioco, siano essi animali od oggetti.

Pur attribuendo alla pittura un ruolo di primo piano nella sua pratica quotidiana, Garzilli riconosce «la presenza del fantasma del cinema», in particolare rispetto alle inquadrature, che suggeriscono l’estendersi della realtà oltre i confini della tela, come un frame circoscritto dai bordi della macchina da presa. Cinema e scrittura contribuiscono alla ricerca di schemi compositivi nei quali viene lasciata grande libertà ai singoli elementi di combinarsi senza gerarchie, seguendo associazioni impreviste che non aspirano a coagularsi in brani di senso compiuto.

Tra le opere di ultima produzione si annoverano i dipinti per una mostra collettiva a Polignano a Mare a cura del collettivo Like a Little Disaster, dove il gioco del coltello si fa pretesto per indagare il binomio violento/ludico e nei quali si aggira, ancora una volta, lo spettro della cinematografia horror e di fantascienza. Le due tele bianche che campeggiano al centro dello studio sono l’indizio di una produzione in fase di avvio sulla quale però, rispettando la classica scaramanzia che regna da queste parti, l’artista non si pronuncia.

Dalla conversazione emerge come possibile elemento di criticità l’assenza di una prospettiva di ricerca e di una metodologia di indagine in grado di dare struttura e sostanza a un discorso che rischia di appiattirsi sull’aspetto formale e nel quale le ragioni del lavoro sono il più delle volte giustificate facendo appello ad associazioni – e ossessioni – che restano autoreferenziali.

D’altra parte, si riscontra un’originale reinvenzione di atmosfere mutuate dal cinema, dove il magico si sovrappone al quotidiano con aperture interessanti, anche nei confronti di altri linguaggi, tra cui la scrittura. L’incongruenza che genera da accostamenti improvvisi e inaspettati diviene così, nelle intenzioni dell’artista, essa stessa una direzione da seguire, per rifuggire ogni eventuale chiusura in schemi linguistici e teorici che possano fungere da catene, come quelle raffigurate in una serie di dipinti non riusciti secondo l’autrice e quindi metaforicamente ‘sigillati’, a ricordare un fallimento che è contemporaneamente una soluzione.