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panorama

Gianni Caravaggio

Rocca San Giovanni 1968

Vive a Monza e lavora a Seregno

Studio visit di Francesca Guerisoli

Lo studio di Gianni Caravaggio è un grande spazio aperto, illuminato da vetrate che lo immergono nel verde circostante. Qui ha allestito una serie di opere tessendo relazioni che, pur preservandone l’autonomia, creano nuovi equilibri e aprono a ulteriori letture. Vederle insieme – mi dirà in seguito – diventa una biografia che presenta le varie sfaccettature del fare e manifestano la sua poetica.

Caravaggio ha iniziato a lavorare negli anni Novanta. Da tempo il suo corso all’Accademia di Brera è fucina di artisti delle generazioni successive. Non ha mai abbracciato l’arte contestuale e di carattere sociale, riscontrando in quell’approccio il narcisismo di una società che guarda sé stessa e i propri problemi, trascurando l’elemento naturale. Cresciuto in Germania fino alla fine degli anni Ottanta, lo stretto contatto con i Verdi ha sicuramente stimolato la sua sensibilità in una certa direzione. Nel suo lavoro però, come non tematizza le questioni sociali, non si occupa nemmeno direttamente di quelle ambientali. Per lui il fulcro dell’arte non è indicare un problema, bensì arrivare alla radice di un rapporto empatico con le cose, con la natura.

L’aspetto concettuale lo interessa in una dimensione empatica dal punto di vista del fruitore: «Definisco il mio lavoro politico, idea quasi inaspettata, non nel senso dell’impegno plateale di tematizzare temi quotidiani, ma perché innesco l’immaginazione e il pensiero di chi guarda; politico per me è creare una polis dialettica e inizia con la solitudine dell’osservatore, condivisa poi con la solitudine di un altro osservatore».

La prima opera che mi mostra, Il tempo mi scorre tra le dita (2021), esposta l’anno scorso nella personale Il sole che filtra tra le foglie alla Galleria Kaufmann Repetto, evidenzia subito il tema cardine della sua poetica: il paradosso temporale. Inoltre, qui gioca un elemento che torna spesso: la coppia e la relazione tra i due oggetti che la compongono. L’opera presenta una foglia di palma fusa in bronzo a cera persa, che la rende “eternamente vecchia”, come fossilizzata, e si intreccia con una palma giovane, ancora fresca. Il processo naturale di invecchiamento avvicinerà la sua immagine giovane a quella eternamente vecchia. Le due foglie evocano un intreccio di mani; all’immaginazione dell’osservatore sta definire se si tratti delle proprie o di quelle di persone diverse che si avvicinano e si toccano in un’altra dimensione temporale. La semplicità del gesto e della forma rende l’opera incisiva e poetica, rievoca il limite, la giovinezza e la fine, la precarietà dell’esistenza e la consapevolezza di voler far pace con tale dimensione. Il binomio oggetto/fusione in bronzo dell’oggetto aveva già manifestato la sua forza in Agire come la falce di Cronos (2008), un lavoro dove il tempo passato viene separato da quello futuro “tagliando” una corda allestita da pavimento a soffitto, che risulta in parte in bronzo (il passato, ancorato al pavimento) e in parte corda sintetica (il futuro, sorretto dal soffitto). Con leggerezza, il movimento impresso alla parte superiore rievoca un pendolo che pare volersi ricongiungere, senza mai riuscirci, con la sua metà in bronzo. Il viaggio che conduce l’osservatore tra spazi e tempi è quello dell’immaginazione e dei suoi infiniti risvolti. Un percorso che ci suggerisce anche L’ignoto (2005-2006), una scultura in marmo nero marquina che si avvicina a un cubo, sul cui angolo superiore è modellata una punta di vaselina, che suggerisce una spinta in avanti. «Questa è per me la parte in cui l’osservatore diventa egli stesso un demiurgo, perché l’opera d’arte è un dispositivo per atti demiurgici».

La questione del tempo e dello spazio, nonché della coppia e di una storia concettuale e sentimentale che va oltre la dimensione umana, caratterizza la fusione in bronzo Un polpo e un calamaro si allontanano tra di loro per incontrarsi dall’altra parte del globo (2013-2018). Due piccole creature marine che Caravaggio adagia sul pavimento indirizzando il loro percorso verso due traiettorie opposte e complementari. L’Idea è quella di un viaggio del globo terrestre che li vedrà incontrarsi di nuovo dall’altra parte dello spazio. Polpo e calamaro, in questa occasione, per la prima volta calcano la stessa area di Starsystem (2002): due pile di stelle marine in alluminio, dove ognuna possiede il negativo di quella sottostante. Una metafora delle stelle che cercano di raggiungere le loro sorelle verso il cielo, riuscendo a innalzarsi per 40 cm per poi ricadere sul fondo e rialzarsi ancora. L’opera è pensata per essere manipolata e perciò arrivare anche a una potenziale caduta, dotando la configurazione di una certa apertura.

Nel nostro percorso in studio, le piccole creature ‘figurative’ unite alle forme minimal di medie dimensioni hanno pienamente restituito questa idea di immaginazione dell’osservatore attivata dall’opera che si fa dispositivo, manifestando la capacità dell’artista di trattare temi complessi, portandoli ai nostri occhi con leggiadria e semplicità. Dopo due anni di attività espositiva intensa, ora Caravaggio ha il tempo per mettersi a pensare liberamente a nuovi lavori. Lo vedremo presto, comunque, in una collettiva al Mart intorno a Melancolia I di Albrecht Dürer.