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panorama

Genuardi/Ruta

Duo artistico formato nel 2014 da Antonella Genuardi (Sciacca 1986) e Leonardo Ruta (Ragusa 1990)

Vivono e lavorano a Palermo

Studio visit di Daniela Bigi
aprile 2022

Lo studio di Genuardi/Ruta si trova a Palermo. È un luogo in cui essenzialmente si progetta, ma accade sempre più spesso che vi si produca artigianalmente anche qualche parte del lavoro. La natura contestuale dei loro interventi e l’improvvisazione controllata da cui prendono vita fanno sì, però, che in ogni situazione i due abbiano bisogno di ricostituire la condizione che vivono dello studio, fatta di concentrazione, libertà e azzardo. Lo studio è dunque nomade. In realtà – mi dicono – «il nostro vero studio è Palermo», la città dove entrambi hanno studiato in accademia e vivono da tempo. Palermo è l’habitat dal quale traggono forme e riflessioni, è un cantiere esperienziale, relazionale, un campionario di modalità secolarmente stratificate di rispondere al costruito e al vuoto, alla coralità e all’isolamento, all’oppressione e alla sovversione, alla montagna che protegge e al mare che connette. È in questo contesto e con questa consapevolezza che nel 2015 hanno fondato lo spazio-progetto L’Ascensore, che gestiscono in modo dinamico, ospitale e intorno al quale hanno tessuto una rete di dialoghi e di scambi internazionali che riveste un peso significativo nella scena cittadina. Palermo non è lo sfondo di questo progetto, né la cornice, ma il dispositivo di pensiero. Spesso vi svolge anche il ruolo di deuteragonista.

Il modo di lavorare di Genuardi/Ruta parte da un’idea di pittura che via via, lungo il tempo, è andata ricercando lo spazio fisico, l’architettura, prima come supporto poi come motore e ragione stessa dell’opera, se non addirittura contenuto. Ripercorriamo insieme alcuni passaggi salienti di questi anni. Le loro opere hanno sempre cercato di restituire il senso profondo dei luoghi a partire dalla luce che li toccava, li colorava e li semantizzava. Via via sono passate ad investire concretamente l’architettura, utilizzando la geometria per sintetizzarne caratteri specifici, o per liberare gli spazi dalle funzioni deputate, o per suggerire visuali inedite o, ancora, per tradurre relazioni luminose. Nei progetti più recenti, questa pittura che ‘legge’ e libera lo spazio si sta trasformando in una pittura che ‘costruisce’ lo spazio, una pittura da abitare. Qualcuno potrebbe leggerla riduttivamente in termini arredativi, o decorativi, ma dimostrerebbe di non conoscere la dimensione culturale della grande isola mediterranea dalla quale provengono i due artisti. Non ci troviamo nella terra del design ma in quella della stratificazione plurimillenaria di forme e tecniche che hanno accompagnato e raccontato l’avvicendarsi di diverse civiltà. Il loro sguardo ha imparato in modo naturale a decodificare quel paesaggio, a decifrarne e acquisirne le sintesi valoriali. Il portato visivo, storico, sentimentale del paesaggio mediterraneo informa il loro linguaggio sintetico, le loro geometrie, e l’introiezione di quel portato permette loro di leggere altri paesaggi. Potremmo riassumere la loro poetica con tre parole: luce, paesaggio, civiltà. Il loro interesse – ribadiscono – non ricade sul passato, non ha accenti nostalgici, semmai, al contrario, è sostenuto da uno slancio propositivo. Parte dalla consapevolezza di una perdita, è vero, dalla presa d’atto di una mancanza, ma punta alla ricostituzione di quanto perduto.

Corrono un rischio, sicuramente, ed è quello di codificare una metodologia esportabile e ripetibile, che può portare a uno svuotamento di senso o a un allentamento della tensione. È il rischio di una poetica che si concentra sul luogo. Ma ne sono consapevoli. Al momento stanno lavorando a introdurre nuovi elementi nel loro lessico visivo e ad acquisire nuovi materiali e tecniche artigianali (il tessuto, ad esempio) e questo va di pari passo con la necessità di dar vita a narrazioni articolate, quasi delle drammaturgie.

Finiamo soffermandoci sul lavoro che hanno appena realizzato a Zurigo, in una doppia personale con John Armleder: Stavamo in piedi su una scogliera. L’esperienza cromatica cui hanno dato vita è intensa. Nelle pareti vibra l’alba e vibra il verde di una visione di natura. C’è una palma, ha la fragranza di un’emozione ma al contempo un valore segnaletico. Un’altra palma torna stilizzata su un elemento plastico, ma questa volta si comporta come lo stilema di un’architettura del passato, dà profondità al discorso e ha la stessa funzione di un elemento decorativo nell’architettura barocca, «forza verso un’altra dimensione» – mi dicono – «crea uno sfondamento». La scogliera evoca una distesa marina. Questo paesaggio mentale racconta di una fusione aurorale con la natura. Potrebbe appartenere a molti mari. E il ‘Noi’ chiamato in causa dal titolo non rimanda a un’esperienza personale, non è un ricordo. Quel Noi è l’istantanea su una collettività.

mde