Cerca
Close this search box.

panorama

Gabriele Mauro

Galatina 1991

Vive e lavora a Firenze

Studi visit di Lorenzo Madaro

Le immagini e la loro riproduzione; la loro diffusione e la loro interpretazione e ricezione. Come nascono e come si diramano? Come vengono interconnesse tra loro le immagini, attraverso fili conduttori invisibili, riflessioni e percezioni individuali? L’immagine e l’immaginario, quindi, sono al centro di un’esplorazione che Gabriele Mauro porta avanti con impegno da molti anni, facendoci riflettere su ciò che è attorno a noi e che spesso ignoriamo perché assuefatti da certe icone e dalla loro riproduzione spasmodica nelle nostre geografie, soprattutto italiane. Studi al liceo artistico di Lecce, poi proseguiti all’Accademia di Belle Arti di Firenze, città in cui ha scelto di vivere e in cui è operativo da anni a contatto con realtà istituzionali e private, per Gabriele Mauro: «Tutti i lavori sono un’unione, sono concatenati uno all’altro. Il mio è un lavoro che è collegato sempre a quello successivo», mi racconta mentre è a lavoro nella sua casa-studio, in cui divide lo spazio del quotidiano con la riflessione e la pratica artistica.

Tutto è molto essenziale e ordinato qui: un tavolo, una sedia, tubi di carta, libri cari alla sua formazione (da Differenza e ripetizione di Deleuze a Per risplendere devi bruciare di John Giorno); guardandosi attorno si comprende molto la sistematicità del suo discorso, che pur nella continuità si genera attraverso singoli cicli di lavori con un loro inizio e una loro fine. La genesi dell’opera, il suo farsi e il suo disfarsi, lo incuriosiscono sin dai primissimi passi, anche quelli più acerbi. Ma visti oggi, in questo (quasi) primo decennio di lavoro, l’itinerario che sta compiendo Mauro è coerente e sistematico, perciò credo sia arrivato anche il momento di una mostra che possa mettere insieme, per la prima volta, tutti i singoli momenti significativi del suo percorso. È del 2014 Così ti ha fatto Dio così ti devo tenere, un video in cui emergono contraddizioni, contrasti e stereotipi del rapporto tra un genitore, in questo caso la madre di Mauro, con un figlio giovane artista. «Perché non fai un quadro, chi mai si comprerà queste tue opere?», si domanda sostanzialmente la madre. Non è autobiografia famigliare, in realtà l’opera in questione fa riferimento al valore dell’arte nel nostro tempo, all’interno di una famiglia media italiana e alla percezione di essa secondo lo sguardo degli osservatori.

Abitando in una città come Firenze, Mauro sa benissimo cosa significhi il consumo veloce delle immagini e le infinite declinazioni decorative, commerciali e superficiali che si possono di volta in volta verificare ovunque. Firenze è per eccellenza il luogo in cui l’immaginario artistico entra a pieno titolo nel tessuto esistenziale e visuale di tutti: negli ombrelloni dei bar, sugli zerbini, nelle piazze, nei ristoranti, sulle borsette e gli zaini, sostanzialmente ovunque vivono le riproduzioni delle opere custodite agli Uffizi e negli altri luoghi d’interesse culturale della città, affiancate a riproduzioni di anonimi artisti accademici amanti del paesaggismo vernacolare e del nudismo di maniera. Mauro, che lì ci vive, ha formalizzato una riflessione sulla diffusione delle immagini e il loro utilizzo. In Untitled, del 2014, ha raccolto e unito in un’unica striscia quei poster su carta ruvida che solitamente si vendono nelle piazze e sulle strade principali di Firenze: vedute della città, dettagli del Giudizio universale di Michelangelo, scorci di interni e poi nudi anonimi e altre vedute. Nella ritualità del consumo delle immagini c’è tutto questo. In Illicit/Licit porta alle estreme conseguenze tale riflessione, facendo performare un ragazzo immigrato negli spazi di Villa Romana, facendogli vendere – come se lo spazio espositivo fosse una piazza della città – le solite stampe dell’Uomo vitruviano, della Gioconda e di altre icone note e non, che solitamente imperversano sulle bancarelle. Ovviamente il venditore della performance è un vero venditore. «Faccio tutto questo – suggerisce Mauro – ponendo anche l’attenzione su altri concetti: quello di copia e riproduzione e quello di vendita, souvenir e turismo.

Soprattutto gli ultimi due concetti modificano la nostra concezione di arte e i suoi limiti». Autenticità e trasmissione di un’immagine: su questo doppio impegno si sviluppa il lavoro, anche quando traccia un disegno su una mela, destinato a morire «nel tempo veloce delle immagini del nostro tempo». E poi ci sono i fotomontaggi, con le opere impossibili da possedere in una casa privata perché parte integrante del patrimonio collettivo dei musei internazionali: da Les demoiselles d’Avignon di Picasso all’Annunciata di Antonello Da Messina. Ma l’esperienza visiva è una pratica che viviamo ogni giorno, ovunque, in ogni gesto quotidiano, anche quando grattiamo con la moneta su un “gratta e vinci”. Su quelle immagini che nessun giocatore osserva si è soffermata l’attenzione di Mauro, che le ha riprodotte con la grafite su grandi superfici parietali, come al Museo del Novecento di Firenze, con la curatela di Sergio Risaliti (2019). «L’idea nasce da una domanda che mi sono fatto spesso. Come sono cambiate le vite di alcune persone che hanno vinto molti soldi con i biglietti della lotteria?» o, come dice Sigmund Freud: «Se la fine di un mal di denti ci rende felici, perché non avere mal di denti non ha lo stesso effetto? Perché la gente con la shopper di Zara si fotografa di fronte alle vetrine di Louis Vuitton? Queste mie domande hanno accompagnato il progetto di mostra ORO. Il “gratta e vinci” è un’esperienza dell’effimero, dove i simboli utilizzati convivono ludicamente senza una dimensione spazio temporale, svuotati da ogni contenuto o messaggio intellettuale. Un gioco d’azzardo che fa presa sui desideri, l’eventuale combinazione vincente corrisposta in denaro per la felicità del qui ed ora». La Velata di Raffaello – e prosegue così il viaggio di Mauro nelle icone della storia dell’arte made in Italy – è ogni anno sulla copertina di un calendario che egli rintraccia e custodisce, come parte integrante di un’opera in progress che cela idealmente la scansione dei giorni. Ancora una volta la ritualità e la ripetizione di gesti appartiene al suo lessico concettuale e comportamentale, come per il ciclo di grandi dipinti su tela che effigiano banalissimi vasi di fiori, riprodotti all’infinito sulle bancarelle delle città turistiche. Il suo però è anche una riflessione sulla pittura e sulla ‘riduzione’ delle forme, attraverso le rielaborazioni di Photoshop. Il punto di forza della sua ricerca è proprio sintetizzata in questi ultimissimi lavori, in cui il discorso sulla trasformazione e l’assorbimento delle immagini viene portato alle estreme conseguenze attraverso una riappropriazione lenta, mediante i mezzi della pittura.