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panorama

Francesco Pacelli

Perugia 1988

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Edoardo De Cobelli

La prima volta che sono stato nello studio di Francesco Pacelli, prima che si muovesse negli spazi condivisi di Viafarini a Corvetto, in un ex spazio industriale poco fuori Milano, sono rimasto colpito dal campionario di smalti e terrecotte meticolosamente disposto sugli scaffali a più ripiani dello studio. Pacelli, diplomato al Politecnico di Milano e in passato assistente di Roberto Cuoghi, mi ha dato subito l’impressione di avere la creatività e l’immaginazione di un artista sperimentatore e la sistematica accuratezza di una mentalità scientifica. Un’agenda, con annotate le variazioni di colore dei pigmenti delle ceramiche, a seconda della quantità e della temperatura, si poteva sbirciare sul tavolo centrale, come a testimoniare l’uso tutt’altro che improvvisato dei diversi forni per le sculture. Pacelli usa infatti la ceramica, gli smalti ma anche la resina, il poliuretano, il neon, la sabbia e tutti i materiali che gli permettono di raggiungere i risultati che lo interessano in quel momento. Le sue sculture sono zoomorfe e spesso ambigue; pescano dall’immaginario collettivo ma anche da un bacino personale di riferimenti tra l’ordinario e il fantastico, con connotati familiari o inquietanti a seconda del contesto in cui sono inserite.

Nell’osservare la sua pratica, ciò che emerge è la coerenza d’insieme all’interno di una visione profondamente personale. Senza creare una vera e propria cosmogonia di simboli e interpretazioni, ma mutuando quelli di mondi apparentemente distanti, Pacelli ricrea un cosmo privato in continua evoluzione. Un cosmo attratto dalla fascinazione dell’astronomia, dalle curiosità dell’evoluzionismo e della biologia ma anche dallo stupore del paradosso e dell’inspiegabile, che si rivolve in opere e creature intriganti e irrealistiche. Ciò che, a proposito della sua pratica, lui definisce “escapismo” è in realtà un modo per afferrare il senso di quello che, nella realtà che vediamo, non può che sfuggirci e che proprio per questo si ancora nel profondo. la sua ricerca si potrebbe quasi definire, tendendo al limite le parole, una teosofia laica dell’incognito, che trova nel vocabolario del fantastico la matrice spirituale che guida la creatività artistica. 

L’ultimo lavoro di Pacelli, Termo servo aereo elettro-magneto elasticità, prende il nome di un esame di Ingegneria aerospaziale ed è uno scioglilingua che richiede una calma contemplazione per essere compreso. L’opera parla del rapporto tra il principio scientifico razionale e la parte onirica, magica e sostanzialmente inafferrabile che la scienza prova a trasformare in formula. Una serie di disegni, iniziata questa primavera, nasce invece da una serie di fotografie prese durante una passeggiata. Rielaborata digitalmente, la serie si distacca gradualmente dalle immagini di partenza, attraverso la manomissione, la restituzione materica e metallica della grafite, fino a svincolarsi completamente da esse. L’intento è proprio quello, in un continuo processo di trasformazione, di immortalare la forma al suo stato embrionale, in quell’istante che precede la riconducibilità a una nuova immagine, e che lascia aperto il maggior numero di scenari e possibili letture.

Il perseguimento dell’ignoto guidato dalla sola curiosità, per quanto necessaria nel lavoro di un artista, rischia però di essere un faro disorientante se diventa il principale elemento a condurre la ricerca. Per questo un artista come Pacelli, nonostante la forza di una visione personale e la giovane età, deve nel tempo definire una poetica che superi il moto ondivago dell’esplorazione, che può essere principio primo, ma non ultimo di una ricerca. 

Pur essendo le sculture in ceramica la forma espressiva più riconoscibile del suo lavoro, i disegni, che realizza fin dall’inizio e che hanno accompagnato il suo lavoro in numerose mostre, ne sono la manifestazione più intima e personale, diretta e visionaria. È probabilmente nei disegni, un medium ancora sottovalutato in Italia, che Pacelli immagina e costruisce l’infrastruttura del suo universo immaginifico, trovandone l’essenza. Nel tratto, minuzioso e paziente, si coglie la sua personalità oltre che la sua identità come artista. Una personalità raccolta da ricercatore privato del non-ordinario, che si muove dagli anfratti della conoscenza scientifica per ritrovare il senso del mistero che, per quanto si provi a decodificare, in fondo permane.