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panorama

Francesco Fossati

Lissone 1985
Vive e lavora a Lissone
Studio visit di Lorenzo Madaro
26 ottobre 2023

Nel ripercorrere l’essenza e le linee programmatiche del lavoro di Francesco Fossati, Francesca Guerisoli, nel precedente studio visit, mi pare ne abbia individuato uno dei punti essenziali nelle dinamiche relazionali. Nonostante il lavoro dell’artista appaia quasi esclusivamente chiuso nel perimetro magico dello studio, in realtà è appunto un’essenza dinamica e dialogica alla base di molte sue avventure, anche silenziose.

C’è una forma di resistenza nella ricerca di Francesco Fossati. Riguarda la pratica della produzione e dello stesso concepimento dell’opera, in un processo che è, insieme, mentale e rituale, capace di muoversi con disinvoltura tra bidimensionalità e scultura, installazione e spazio. Con rigore e sistematico impegno, concepisce opere che sono dispositivi di pensiero e che anche quando prendono in prestito immagini assimilabili a profili riconoscibili – foglie, per esempio –, non approdano mai su binari narrativi. Da alcuni anni, Fossati ha avviato un discorso attorno alla natura (anzi, sarebbe più appropriato dire attorno al ‘dentro’), intesa non tanto come soggetto, ma come presupposto e dispositivo processuale in grado di generare forme e spazi, corpi scultorei o segni. Le prime tracce di Organic Pictures sono del 2016: Fossati iniziava così a concepire tecniche a stampa ecologiche, trasferendo i pigmenti di materiali botanici – radici, verdura, foglie, frutta – su tessuti di fibre vegetali come il cotone e il lino. Erano opere ‘a chilometri zero’, le materie prime venivano rintracciate nel suo orto e nelle immediate vicinanze del suo studio e anche il trasporto per mostre o installazioni dalle case dei collezionisti avveniva attraverso soluzioni non impattanti. Se Joseph Beuys – ricordiamo, ovviamente, il suo Difesa della natura diffuso a Bolognano – è stato il primo a praticare una militanza attiva, partecipativa e per certi versi anche divulgativa, anche un altro artista tedesco è alla base di alcune riflessioni di Fossati, Wolfang Laib, per l’utilizzo dei materiali organici (nel suo caso polline, latte, cera d’api e riso), ma non si possono non evidenziare anche le sollecitazioni offerte dalla poetica di Herman de Vries e quella sua capacità di raccogliere, ordinare, isolare e presentare brandelli di natura.

Penso sia importante soffermarsi sulla pratica e la poetica di Francesco Fossati perché attraverso di esse l’artista propone una riflessione molto sincera sui temi della sostenibilità, praticandola senza la retorica della narrazione e senza l’ipocrisia delle immagini della cronaca. Un lavoro che non si ferma mai, capace di evolversi con coerenza, con una sistematica concentrazione che lo rende da un lato solitario e per certi versi appartato, dall’altra sempre molto propenso al dialogo e alla collaborazione, come nel caso del progetto performativo del collettivo E il topo al Madre di Napoli. 

Se l’ecologia risulta essere sempre più sbandierata nei contesti espositivi che riguardino architettura, arti visive o nelle pratiche sociali, Fossati ha scelto una via concreta, immediata, eppure solitaria e delicata. Ha deciso di iniziare in autonomia un percorso di rigenerazione in grado di non pesare sull’ecosistema, anche semplicemente per quel che riguarda la produzione di pigmenti propedeutici alla realizzazione di opere pittoriche. Perciò ha autoprodotto e, in alcuni casi, anche distribuito ad altri artisti, tubetti di colore naturale al 100%, anch’essi a chilometri zero e a impatto ambientale nullo. È l’ecologia dell’autosufficienza, che ribadisce non soltanto l’autonomia della ricerca artistica rispetto ai ritmi del consumismo e della contaminazione, ma anche un rapporto profondo con le piante, con la loro vita. Le tele realizzate con stampe vegetali su cotone biologico sono pertanto un ecosistema autonomo. Le foglie di castagno diventano possibili reliquie di un mondo distrutto, che attraverso il proprio operare Fossati recupera e preserva. Foglie come moduli visuali, in grado di astrarsi da specifici contesti.

Bisognerà vedere cosa accadrà nel prossimo futuro nel lavoro dell’artista, come si evolverà, come si connetteranno le esperienze di questa indagine sulle tele (e il parallelo lavoro sulla scultura) con quella capacità che ha avuto in passato di lavorare nello spazio pubblico (come Fakehistory al Parco Nord di Milano nel 2016), portando nella dimensione della strada e dello spazio aperto alle energie del quotidiano questa sua riflessione così sistematica sulle emergenze della ecosostenibilità.

La sua arte è il luogo di nuove alleanze, tra strati di materia assolutamente lontani, ma che Fossati è in grado di guidare verso assembramenti e metamorfosi. Spoglie fragili sono anche le recenti e stimolanti sculture realizzate utilizzando il riccio di ippocastano: all’interno, le castagne sono rivestite di foglia oro, foglia argento e gommalacca: sono anch’esse brandelli di una natura che resiste, provengono da paesaggi liberi e incontaminati, contesti totalmente estranei al sistema economico e sociale agricolo e commerciale. Con il proprio gesto, Fossati costruisce una trasfigurazione, dà un valore a qualcosa che ignoriamo, a forme che stupiscono per la loro complessità. Niente di nostalgico, niente di bucolico. Anzi, l’operazione che compie l’artista è assolutamente concettuale.