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panorama

Francesco Carone

Siena 1975

Vive e lavora a Siena e a Pistoia

Studio visit di Angel Moya Garcia

Francesco Carone lavora principalmente con la scultura, realizzando opere di natura spiccatamente poetica e visionaria in cui fonde esperienze intime a colti rimandi alla storia dell’arte, alla mitologia e alla letteratura, in una sorta di esercizio psicoanalitico involontario. Alle pratiche più tradizionali, affianca progetti collaborativi dove i concetti di opera, collezione, museo e allestimento convergono in varie forme. Tra questi vale la pena ricordare Tempo Zulu, in cui, da anni, vengono invitati artisti e operatori culturali a lasciare un contributo permanente inciso sulla pavimentazione delle vie del centro storico di Siena, e TITOLO l’edito inedito, opera/mostra/biblioteca itinerante, suddivisa in dieci ‘capitoli’.

Carone ha fondato e dirige, insieme con Eugenia Vanni, il Museo d’inverno, uno spazio a programmazione stagionale in cui vengono invitati artisti nazionali e internazionali di varie generazioni a presentare una selezione di opere altrui, provenienti dalle loro collezioni private.

Le opere di Carone ruotano attorno all’indescrivibile e alla tensione intorno temi ricorrenti quali il sesso, la morte, i miti, le tempeste, le stelle, gli idoli, il dettaglio, il dubbio, il subconscio o la caducità umana riscattata dalla bellezza. Una ricerca costante della bellezza e del sublime che prescinde volutamente da qualunque apparente urgenza del contingente o da un’immediata relazione con i dibattiti contemporanei. Il suo lavoro è permeato dalla consapevolezza che la scultura ‘prende spazio’ e che l’uomo non può costruire senza distruggere, senza prelevare, senza un riuso o un rimpiego che riattiva, rigenera o ripristina l’anima della materia. In quest’ottica l’inciampo e l’errore diventano componenti essenziali del processo verso una perfezione concettuale e formale che richiede all’osservatore un’attenzione importante, per scoprire gli indizi nascosti di interpretazione. Le didascalie, l’allestimento sono parte integrante del lavoro, i riferimenti alla storia o alle caratteristiche dello spazio, così come i lavori che si riconfigurano continuamente, forniscono una sorta di scintillio da seguire per andare oltre la superficie di ciò che è visibile, per abbattere la distanza che separa ciò che l’artista nasconde.

Rinunciando a parallelismi forzati nei confronti della contemporaneità e disinteressandosi di qualunque attinenza alle urgenze dell’arte più recente, il suo sguardo si rivolge a molta arte del passato e, in particolare, al Trecento senese, oltre che alla scultura, da Michelangelo a Brancusi. Una tensione, quella di Carone, ben esemplificata dal Moby Dick di Herman Melville, che ritorna insistentemente nel suo percorso: la ricerca continua, frenetica e instancabile, sistematicamente vanificata a causa dei limiti e della finitezza umana, che sente di condividere con il capitano Achab.

In questo periodo l’artista sta preparando una nuova personale per la galleria SpazioA di Pistoia, ha in programma un nuovo capitolo del progetto Titolo – l’edito inedito e, con Eugenia Vanni sta lavorando alla prossima mostra del Museo d’inverno, che si terrà a fine aprile.

Sicuramente, la necessità di Carone di non guardare il contesto sociopolitico in cui ci troviamo, di non essere interessato alle urgenze che sono diventate predominanti nella cultura attuale, o l’assenza di riferimenti alle tematiche contemporanee, potrebbero recludere il suo lavoro in una nicchia isolata, fatta di sicurezze ormai assodate. Allo stesso tempo, il processo di sintesi formale a cui sottopone le sue opere, e il forte impegno richiesto al pubblico per decodificare le letture possibili contenute in esse, rischiano di consentire una fruizione solo superficiale del suo lavoro. Tuttavia, considerando il bombardamento di immagine cui siamo sottoposti, la velocità con cui ormai siamo abituati a osservare le opere e le mostre, la frequente comparsa della cronaca e di una temporalità ben definita che circoscrivono e contestualizzano determinate ricerche, o l’immediatezza con cui scopriamo tutti i livelli di contenuti che ci propongono, il lavoro di Francesco Carone emerge proprio per la sua capacità di ridurre all’osso i punti cardine della linea poetica, per la sua richiesta di fermarci, di osservare attentamente, di rallentare, invitandoci a scavare gradualmente tutte le stratigrafie che le sue opere celano.