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panorama

Francesco Arena

Torre Santa Susanna 1978
Vive e lavora a Cassano delle Murge
Studio visit di Lorenzo Madaro

Vado a trovare Francesco Arena in un bollente pomeriggio agostano. Siamo a Cassano delle Murge, entroterra barese, dove l’artista vive e ha studio da molti anni. Nello spazio vige un certo ordine. Opere recenti e passate convivono pacificamente facendomi comprendere come, in fondo, Arena lavori su alcuni temi fin dagli esordi: il tempo, la distanza, le misure. Sono convenzioni che consideriamo paradigmi, tracce che l’uomo lascia per dare realtà a quella che chiamiamo civiltà. In questo spazio Arena concepisce i lavori di piccolo formato, assemblaggi soprattutto, ma è qui che ritrova la dimensione della progettualità e della riflessione. In una stanza più piccola, la scrivania, il computer, i libri e una parete piena zeppa di foto, post-it, stratificazioni di memorie famigliari (la sua bimba) e professionali.

Nella tranquillità della provincia, Arena evidentemente trova la giusta concentrazione per lavorare con impegno costante. Qui ha artigiani e collaboratori che partecipano alla nascita dei suoi lavori, ma da sempre Arena è un viaggiatore instancabile, siamo a mezz’ora dall’aeroporto di Bari, perciò costantemente vola per appuntamenti, mostre e sopralluoghi, anche per raggiungere le tre gallerie che lo rappresentano (Trisorio, Raffaella Cortese e Sprovieri). Sostenibilità, è evidentemente uno dei suoi principi nell’organizzazione logistica del proprio lavoro, sia in termini di produzione che per quel che concerne il deposito. “Don’t stop”, l’adagio di Obrist, pare gli appartenga intimamente. E questo suo approccio ha sempre indicato una via opposta al pensiero dominante per il quale, per ‘trottare’ nel mondo dell’arte, bisogna lavorare (e vivere) in determinate città (le solite due/tre). Dal Castello di Rivoli al MAXXI, dal Parco archeologico del Palatino a Roma e poi a New York, la Cina, e diverse geografie europee: Arena e il suo lavoro sono riusciti in questi vent’anni di operatività a conquistare musei, fondazioni, fiere, collezionisti.

Ma partiamo dal principio, perché ormai il suo percorso oltre a essere intenso (e complesso) è anche lungo in termini cronologici.

Siamo nel 2004 e con l’opera 3,24 m alla Galleria Monitor di Roma, Arena precisa i punti cardinali del proprio lavoro. Oggi, a distanza di quasi vent’anni, i principi enunciati con quell’opera, oggi al MAXXI, dedicata alla cella (di quelle esatte dimensioni, la scultura è infatti una riproduzione in legno in scala 1:1) in cui fu tenuto prigioniero dalle BR Aldo Moro, risultano costantemente validi per leggere lo sviluppo del suo percorso. Il lavoro rimane difatti fedele a specifici principi già avviati all’epoca: l’importanza concettuale delle dimensioni, uno sguardo sulla storia politica recente e una riflessione tangibile su un’idea specifica di scultura, che guarda al minimal e che viene intesa come linguaggio che interroga sé stesso.

Il lavoro di Arena oggi ha validità proprio per questa sua capacità di leggere la Storia recente, senza ricorrere al pur importante discorso della documentazione o della narrazione, senza dimenticare di investigare la forma come radice primaria del linguaggio della scultura. A suo dire la scultura è, come il corpo umano, dotata della capacità di occupare uno spazio definito e quindi di sottrarre spazio e al contempo di contenerlo. Nel dibattito odierno, che vede molti artisti rileggere il passato storico, sociale, politico e antropologico, Arena rimane lucido assertore di una via che non ha mai abbandonato, ovvero quella di una “storia che non ho vissuto” (per dirla con il titolo di una preziosa mostra collettiva al Castello di Rivoli di qualche anno fa) che però sa leggere senza fronzoli, pescando da un immaginario visuale e formale legato al minimal e all’arte povera.

Ma Arena sa anche essere aereo, anzi, di recente perfino poeticamente ludico. Basti pensare all’altalena che ha concepito per Panorama, la mostra promossa dal consorzio Italics con la curatela di Vincenzo De Bellis a Monopoli, nella sua Puglia. Sulla superficie bronzea dell’asse, utilizzabile da adulti e bambini, nella chiesa sotterranea del castello (e installata di fronte a una straordinaria opera di Marisa Merz) c’è scritto: Tutti i giorno presenti si somigliano fra loro, ogni giorno passato è differente a modo suo. Ancora una volta è la letteratura a ispirarlo, insieme ad altre fonti, anche visive, naturalmente. Pensiamo all’Autoritratto di Boetti o a certe influenze che gli derivano da Pascali o da Anselmo e, talvolta, queste parentele sono molto evidenti a livello formale.

In ogni caso la via di Arena rimane sempre concentrata verso un percorso autonomo, rigoroso, capace di relazionarsi con i luoghi, trasformandoli talvolta (come fece al Padiglione Italia della Biennale di Venezia curato da Bartolomeo Pietromarchi), anche con ardite convivenze tra i materiali, da quelli duri e implacabili (e non modificabili) come la pietra, a quelli che vivono metamorfosi invisibili ma costanti. È anche in questo binomio, che include un concetto caro ad Arena – ovvero la soglia – che vanno rintracciate altre radici del suo discorso artistico.