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panorama

Francesca Banchelli

Montevarchi 1981
Vive e lavora a Reggello
Studio visit di Angel Moya Garcia

In uno studio in mezzo alla campagna, poco fuori Reggello in provincia di Firenze, Francesca Banchelli osserva e analizza la quotidianità attraverso luci, ombre, materia, pensiero, frammenti, tempo, e la riflessione, come modo di unione tra il mondo esterno e quello emozionale. In ogni sua opera è intrinseco un atto narrativo che ribalta i piani gerarchici della realtà percettiva e di quella immaginativa a prescindere dal linguaggio con cui decide di formalizzare una visione.

Il suo lavoro è basato principalmente sulla pittura, nonostante utilizzi anche i mezzi della performance, della scultura e del video, spesso organizzando i vari media in istallazioni poliedriche. Il suo interesse per il tempo è un modo per scoprire la potenzialità della narrazione vista come una sorta di ‘situazione’ contenente costellazioni di eventi. Questi immaginari includono visioni oniriche di coesistenza tra animali ed esseri umani, sospesi in spirituali, emotivi e psicologici tentativi di riconciliazione con la natura. Banchelli usa il tempo come una chiave verso l’incontro con l’assoluto, attraverso opposti quali sensualità e decadimento, materia e spiritualità, collettività e singolarità, iconografia e atemporalità – per ricercare la complessità dell’evento. La pittura è sentita dall’artista come un tappetto di processualità e di lavoro quotidiano di cui ha bisogno per far emergere tutte le proprie mancanze e le proprie necessità. L’arte è essenziale che non sia solo un valore in sé, ma che possa attivare determinate situazioni, mantenendo una tensione forte, un rapporto e un coinvolgimento diretto con chi la osserva. Nella sua ricerca non mancano i riferimenti alla scena internazionale, sia concettuali sia formali: Peter Doig, Francis Alys, Miriam Cahn, intesi non come maestri quanto come artisti attinenti, richiami, che hanno squarciato le epoche e che ritornano anche solo per l’uso che fanno del tempo o la modalità delle pennellate.

In questo momento Banchelli sta portando avanti un linguaggio pittorico che si intreccia a grandi progetti performativi. Pittura e performance diventano un corpo unico che si biforca in funzione del contesto. Con la pittura ha la possibilità di costruire porte che lascia aperte. Gli scenari pittorici sono sempre “nowhere land” attraversati da presenze che rimangono in bilico su qualcosa che è successo o che deve succedere. Questi parametri erano già ben presenti anche nei progetti performativi The Fugitive e Before the Name, in cui aveva affrontato il concetto di evento che è alla base del suo lavoro. The Fugitive è un percorso che si sta sviluppando tutt’ora, ed è nato sull’idea di incontro: incontro che azzeri la prevalenza tra le specie, senza mediazione, che rivaluti l’altro e quindi anche un incontro con sé stessi, per interrogarsi su dove abbiamo sbagliato come società. A prescindere dal linguaggio scelto, ci sono elementi ricorrenti: le pietre, come l’esserci sempre stato; il tempo, come qualcosa che unisce passato, presente e futuro; gli animali (cani e uccelli prevalentemente), come elementi che mettono in comunione gli esseri viventi sulla terra; l’essere umano, come presenza mai definita che diventa portatrice e trasmettitrice di moltitudine e allo stesso tempo testimone di un cambiamento. Presenze in continua ricerca, in cui primordialità e coscienza, intellettiva o spirituale, si associano definendo cosa sia l’essere umano, dandogli ancora la possibilità di evolversi, di maturare e di capire cosa lasciarsi alle spalle. Nella sua ricerca, come abbiamo costatato, il rapporto tra performance e pittura diventa indissolubile, solo che ogni visione trova una declinazione specifica in funzione del contesto o di motivi specifici. La pittura è tutto un divenire, mentre la performance diventa più mentale, sono due temporalità diverse ma che ci parlano della stessa identica cosa e che spesso si incrociano attraverso corrispondenze, come la composizione, che lega entrambi gli ambiti. Se consideriamo ogni lavoro come la narrazione di una visione personale, emerge una struttura che coinvolge direttamente l’osservatore, portato a mettere in collegamento i micro eventi. Lavori in moto, che si appropriano della temporalità della performance per declinarla nella pittura. L’inclinazione di Banchelli o la sua attitudine rimane quella di far funzionare la temporalità come motore tra lo spettatore e l’opera. La tensione richiesta ed espressa, imprime all’artista, ma soprattutto al pubblico, una responsabilità e mi chiedo, durante lo studio visit, fino a che punto questa responsabilità, questa tensione e questa consapevolezza arrivino in modo fluido e non forzato attraverso narrazioni e visioni che hanno un punto di vista non didascalico, ma sicuramente molto soggettivo. Forse dare per scontato un orizzonte di lettura condiviso potrebbe essere fuorviante e, da un certo punto di vista, superficiale. Tuttavia, le visioni oniriche, l’atemporalità della rappresentazione, gli elementi subliminali che suggeriscono aspetti a metà tra la minaccia e la sospensione, la fluidità dei corpi, la compresenza di diverse anime che popolano le pitture e le loro espressioni mai turbate ma proiettate verso una più alta coscienza, le tonalità dei colori o l’essere in bilico tra l’intimidazione e l’inconsapevolezza, suggeriscono un’assoluta incoscienza o una perdita di interesse e un distacco per ciò che accade, proiettandosi verso un riscatto più spirituale e mentale, nel quale ci si può ancora salvare. Una percezione dove emerge la capacità di convivere con l’idea di apoteosi, di minaccia incombente, mentre il nostro sguardo e la nostra attenzione sono rivolti altrove, in una restituzione panoramica della realtà che stiamo vivendo.