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panorama

Filippo Berta

Treviglio 1977
vive e lavora a Bergamo e a Milano
Studio visit di Daniela Trincia realizzato il 28 novembre 2023
12 marzo 2024

Lo studio di Filippo Berta occupa un’ampia stanza di un vecchio cascinale completamente ristrutturato, vicino Fara Gera d’Adda dove, dal 2019, si è definitivamente trasferito. Un cambiamento che ha coinciso con una nuova modalità della sua pratica artistica che, pur mantenendo sempre in primo piano il contenuto, ha iniziato a dedicare attenzione anche alle possibilità della forma. Come evidenziato anche da Angel Moya Garcia nel precedente studio visit, il centro della ricerca artistica di Berta sono le tensioni nelle relazioni tra gli individui, anche a livello sociale. Tematica particolarmente attuale, quotidianamente ricordata anche dalla cronaca e che sospinge ad approfondire il suo lavoro. Un campo di indagine che si serve di diverse, spesso complesse modalità espressive che non possono lasciare indifferente l’osservatore e No Armony (2005), con la trazione tra i due magneti e il conseguente spazio irrisolto tra loro, rappresenta materialmente le pressioni che si possono generare in qualsiasi circostanza, al cui centro non vi è la soluzione ma, piuttosto, il disorientamento. Questione che con inflessioni diverse, più protese verso l’individuo o più al sociale è nodale in diversi artisti. Tra quelli operanti in ambito nazionale, si possono citare Rosa Jijon e Francesco Martone, Elena Bellantoni, Elena Mazzi, Margherita Moscardini, Nicolò Degiorgis. Mentre, in ambito internazionale, si ricordano Ursula Biemann, Jota Castro, Kader Attia, Oliver Ressler.

È soprattutto attraverso le performance, cui si dedica dal 2008, che esprime la sua ricerca: spesso collettive, basate su un unico gesto corale, rappresentative dell’uomo inserito in determinati contesti sociali, accompagnate da video, foto, installazioni, perché c’è sempre un’opera ‘madre’ intorno alla quale si sviluppano progetti satelliti tradotti attraverso i diversi media a sua disposizione. Muovendosi in diverse condizioni collettive, analizzando la fragilità dell’individuo, Filippo Berta ci parla della condizione umana, servendosi di microcosmi per descrivere circostanze universali, volendo mettere in evidenza l’aspetto animale insito nell’essere umano, la necessità di scardinare i codici, metterli in discussione, per giungere a una realtà sociale nuova (particolarmente espressa nella performance With Care, 2019).

Oltre alla grande scrivania, ricoperta da appunti, riflessioni, quaderni, disegni, tracce di nuovi possibili progetti, all’interno del suo studio c’è la possibilità di osservare dal vivo alcuni lavori: il già menzionato No Armony, la foto di Gente comune, il dittico fotografico Just One.

Attualmente sta raccogliendo materiale per la realizzazione di un libro e si sta dedicando all’ideazione di nuovi progetti, che hanno sempre una lunga gestazione e una altrettanto dilatata realizzazione (basti ricordare One by One, ‘conclusosi’ nel 2021 dopo ben sei anni di lavorazione); progetti che restano comunque aperti, perché Berta non esclude mai la possibilità di poterci tornare, qualora si presentassero situazioni inedite.

È proprio questo suo sguardo ampio sui confini, sulle tensioni, umane e sociali, che mette l’osservatore di fronte a interrogativi personali e collettivi. Quei fili spinati, che segnano il confine astratto di uno Stato, sono veramente così necessari? Quei codici, quelle catalogazioni, che irregimentano ogni individuo in una specifica categoria, ignorando le specificità e le sfumature, sono veramente utili?