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panorama

Federica Di Pietrantonio

Roma 1996
Vive a lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino

Federica Di Pietrantonio ha studiato Pittura all’Accademia di Belle Arti – Rufa di Roma, svolgendo un periodo di ricerca in Belgio, rivelatosi particolarmente fruttuoso per gli sviluppi del suo lavoro. Nel 2018 è entrata a far parte di Spazio in Situ (esperienza indipendente attraversata da giovani artisti e curatori) e, insieme ad Andrea Frosolini, ha dato vita al magazine “ISIT” (esperimento declinato sia online che offline) e alla coppia artistica AFFDP. Vincitrice, e più volte finalista, in premi per la giovane arte, nel 2020 “Artribune” l’ha segnalata come miglior giovane artista dell’anno. Al suo attivo ha due recenti personali particolarmente interessanti: My Life as Yours, nel 2020 a The Gallery Apart di Roma, e Lost in Myst nel 2021 a Celleno (Viterbo), di cui rimane traccia in un bel catalogo pubblicato da vanilla edizioni con testi di Valentina Tanni e Chiara Cottone. Inoltre, è stata recentemente selezionata per svolgere una residenza di tre mesi a Manchester presso SODA – School of Digital Arts, in collaborazione con la Quadriennale di Roma.

Il lavoro di questa giovane artista ruota intorno a quella rivoluzione digitale che in pochi anni ha cambiato le nostre forme di vita ‒ e quindi anche l’esperienza che facciamo dello spazio e del tempo ‒, e che molto velocemente e radicalmente sta trasformando anche il nostro stesso concetto di realtà. Se da Second Life al metaverso il passo sembra essere più che breve, potremmo dire che Di Pietrantonio opera come ‘inviata speciale’ in questa nuova realtà simulata (in altri tempi Bonito Oliva parlava di Schifano come inviato speciale in una realtà modificata, allora, dal medium televisivo), dando vita a paesaggi, vite e realtà “virtuali” costruite grazie alle tecnologie di machine animation. I suoi video sono realtà immersive nelle quali lo spettatore diventa protagonista di una “promessa” vita alternativa e/o esploratore di quelle che potremmo già chiamare archeologie del futuro. Cosa ne è della nostra identità e della nostra memoria nel momento in cui queste escono dal nostro corpo naturale estroflettendosi in mondi fino a poco tempo fa solo immaginati dalla letteratura di fantascienza e cyberpunk? Questa sembra essere la domanda che ritorna più volte nelle opere presenti nel suo studio, sia video, che è possibile vedere al computer – già realizzati o ancora in lavorazione – sia pittoriche.

Pittura, esattamente, perché in effetti va sottolineato che Di Pietrantonio non abbandona il mezzo espressivo tradizionale e anzi ne esplora le potenzialità in relazione ai nuovi mondi artificiali, in tele di grandi dimensioni dipinte a olio o a smalto. E, forse, qui sta uno dei tratti più caratteristici del suo lavoro: usare diversi mezzi espressivi, senza nessun pregiudizio, per provare a capire cosa ne è – questa un’altra domanda fondamentale che si pone l’artista – dell’immagine nell’epoca della riproducibilità digitale. In questo senso colpiscono alcune citazioni “colte” presenti nei titoli delle sue opere e che attingono alla storia dell’arte: tra tutte Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell’acqua, performance di De Dominicis del 1969, che diventa il titolo di un’installazione video del 2021. In questo legame con la storia dell’arte risiede probabilmente la maturità di una riflessione artistica che non fa piazza pulita del patrimonio visivo ereditato, ma lo rievoca quasi come atto di resistenza. E in questa resistenza a quella catastrofe culturale che la rivoluzione digitale potrebbe portare con sé risiede anche la particolarità di un approccio alle nuove tecnologie che lungi dal rifiutarle le usa fino in fondo, senza nessuna ingenua euforia. Quello di Federica Di Pietrantonio lo potemmo quindi definire, proprio per questa doppia distanza, un approccio critico.

In conclusione, proprio perché questo è un punto forte, probabilmente il lavoro potrebbe crescere ancora se venisse alimentato da una critica dell’economia politica del metaverso, ovvero da un’analisi delle differenti possibilità di accesso a un’esperienza che rimane indissolubilmente legata alle possibilità di investimento, oltre che alle disparità determinate da classe, razza e genere.