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panorama

Fabrizio Sartori

Roma 1980
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Davide Lunerti
7 aprile 2024

La pratica artistica di Fabrizio Sartori è in tutti gli aspetti multidisciplinare, come indica la sua formazione: studi di Pittura e Tessitura a mano alla Scuola di Arti ornamentali San Giacomo, lauree in Architettura alla Sapienza e in Arti visive allo Iuav, a cui si aggiungono il Corso Superiore di Arti visive alla Fondazione Antonio Ratti di Como, oltre a studi di interesse psicologico e sociologico. Sue opere sono state esposte al Pastificio Cerere, Via Farini, Fondazione Bevilacqua La Masa.

Uno dei suoi primi lavori già racchiudeva la molteplicità delle discipline sopracitate, dimostrando fin dall’inizio la propensione dell’artista a lavorare in modo trasversale e ‘contaminante’: Doorzunkamer (2011) consisteva in una videoperformance, girata in un’ex ospedale psichiatrico di ‘s-Hertogenbosch (Olanda), che lo vedeva impegnato a coprire ogni fonte di luce con tessuti e oggetti trovati, fino a ottenere l’oscurità completa. L’intervento, che prendeva vita da un ragionamento sull’uso della luce in pittura, indagava al contempo le caratteristiche culturali che hanno portato a determinate configurazioni architettoniche delle case olandesi, come, ad esempio, l’influenza della mentalità calvinista. Riflessioni di stampo culturale sull’urbanistica sono alla base anche di un altro dei suoi primi lavori: We Don’t Know Today (2010), di nuovo una videoperformance in cui l’artista si nasconde nel sito archeologico di Ostia antica durante la notte per poter osservare e riprendere le rovine sotto una luce altrimenti preclusa al pubblico, quella dell’alba. L’operazione non era una protesta contro il museo o l’istituzione, quanto piuttosto lo sfogo di un istinto liberatorio di autodeterminazione che di fronte a un cancello chiuso, piuttosto che abbatterlo, lo porta a cercare vie alternative per entrare, per vedere e permettere di vedere un momento altrimenti negato.

Uno degli elementi più interessanti del lavoro di Sartori è proprio questo utilizzo dell’arte per riappropriarsi in modo non violento di zone interdette, opponendo resistenza sociale attraverso l’immaginazione, il dialogo, la narrazione. Anche il laboratorio svolto nella comunità psichiatrica di Cremona, frutto di una residenza artistica, immaginava una città ideale dal punto di vista dei pazienti della struttura. L’operazione intendeva rispondere alle mancanze di una città contemporanea progettata e costruita a immagine dell’uomo bianco cisessuale ed eterosessuale, senza prevederne la fruizione da parte di donne, persone LGBTQIA+ e razzializzate, ma anche di bambini, ex carcerati e persone disabili o affette da disturbi della mente. Introducendo questo tipo di approccio, che più che utopico è uno sforzo immaginifico di concepire nuovi comportamenti sociali, Sartori ricorda gli insegnamenti della scrittrice femminista Ursula K. Le Guin, della quale riprende dichiaratamente la Teoria narrativa della sacca. Scegliendo di raccontare la storia dell’umano come raccoglitore piuttosto che cacciatore, la scrittrice ha reinterpretato in quest’ottica le strutture, le trame e gli archetipi che fanno parte dell’immaginario occidentale, per concepire una visione alternativa della realtà. Una serie recente di ricami su tela dipinta, Gli archetipi di Jung (2022-2023), racconta questi stessi archetipi, propri della narrazione letteraria e cinematografica europea e nordamericana. La tecnica della tessitura è, ancora una volta, esercitazione di una resistenza contro le interdizioni, in questo caso, di genere: le sue nonne, eccelse nel ricamo, non glielo hanno mai insegnato, portandolo a imparare per conto proprio ciò che aveva appreso solo con gli occhi. Di origine analoga, è l’aggiunta negli stessi lavori di perline e paillettes, precluse sempre per stereotipi di genere. Attualmente l’artista è impegnato nella serie Derrick, dipinti di frames tratti dall’omonima serie degli anni Ottanta, fortemente legata alla sua infanzia. «Pur essendo un telefilm giallo ─ racconta l’artista ─ non si vedono quasi mai scene di sangue o aggressioni, l’attenzione è tutta rivolta alle contraddizioni psicologiche e alla responsabilità sociale di tutti i personaggi, dalla vittima al carnefice». In questo, Sartori sembra prediligere ancora una volta narrazioni alternative, distanti dagli immaginari più consueti.

La scelta di lavorare su molteplici produzioni contemporaneamente, su stimoli di natura diversa e che prevedono tecniche differenti, tende a rendere l’artista meno concentrato nei vari progetti. Questo fa pensare che non solo la sua produttività, ma anche la profondità di ricerca potrebbero aumentare in condizioni di minore ‘dispersione’.

L’andamento caotico di questo processo creativo fa emergere tuttavia, allo stesso tempo, il punto di forza più sorprendente della ricerca di Sartori, ovvero lo sperimentalismo trasversale, che commistiona tecniche e iconografie, un aspetto evidente anche nell’originalità con cui ripensa il medium pittorico, che diviene strumento di dialogo serrato con la contemporaneità.