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panorama

Eugenio Tibaldi

Alba 1977
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Marcello Francolini
20 dicembre 2023

Gli intrecci ridondanti degli incroci stradali di Torino, mi danno il tempo di familiarizzare con i percorsi nel mentre li attraverso e nel loro ripetersi si staccano come fili di diversi ricordi, per ritrovarli quasi subito dopo, nello studio di Eugenio Tibaldi. Qui dinnanzi, appena dentro una grande cornice, se ne sta uno stormo di uccelli come un simposio (Simposio #7, 2023). Ognuno ben staccato dagli altri nella sua personalità tipologica, eppure tutti confusi ai fondi. Su diversi piani un’apparente selva di rami si confonde a una selva di tubature urbane, che poi si ramifica come uno stradario cittadino disposto a sua volta su fondi squillanti che, appena percepiti, risalgono come ulteriori figure indistinte. Così, l’apparenza iniziale della composizione si frammenta a una vista più acuta, in diverse altre narrazioni frattali. Dunque, vista così quest’opera non è propriamente un quadro, ma è piuttosto una proiezione di un’installazione. Il ‘fondo’ si espande in ‘spazio di accadimento’ e così l’artista coerentemente mantiene quel meccanismo di funzionamento mirato al dislocamento-geografico.

È in questo fondo che si può intuire la fondatezza della ricerca dell’artista, da sempre impegnata in un continuo riorientamento dello spazio periferico. Dalle prime esperienze nell’interland napoletano, la periferia, luogo ufficioso come margine indefinito e caotico, diviene il luogo di possibile osservazione e costruzione di modelli estetici alternativi capaci di raccontare nuove ipotesi dello spazio sociale e collettivo, non direttamente imposti dal sistema sociale ai cittadini della città (luogo ufficiale). Così il modello estratto dalla ‘pelle’ di Napoli, come ricordava già Malaparte (La pelle, 1949), diviene modello di narrazione figurata per le altre periferie geografiche a sud del mondo: dal Mediterraneo all’America latina, all’India. Così come è capitato soltanto dopo i quadri di Hogart che noi vedessimo le nubi come cirri e strati, così adesso vediamo certi spazi periferici come paesaggi grazie ai quadri di Tibaldi. L’artista costruisce letteralmente luoghi nello spazio e sappiamo che il luogo ha a che fare con un processo di tipizzazione che rassomiglia in tutto e per tutto al senso teatrale del ‘pathos’ per il personaggio e del ‘topos’ nell’opera d’arte, giacché esso è sempre uno spazio mentale. Nel caso di Tibaldi abbiamo la ‘costruzione-materiale-di-uno-spazio-mentale-in-un-luogo-fisico’.

Rieccoci in studio dinnanzi al Simposio#7, che rimanda poi al famoso convivio di Platone (IV secolo a.C.), in cui l’amore è assunto in termini di critica nei confronti dell’indisponibilità del mondo alla mediazione per l’altro. E qui vi è la trasposizione dell’artista al mondo degli uccelli, come ci ricordava Aristofane, un mondo intermedio, epurato dagli eccessi tanto del mondo degli uomini, quanto da quello degli Dei. Un mondo intermedio che è una pura contemplazione. Ecco la trasformazione della sua ricerca. Qui Tibaldi passa alla costruzione di immaginari-che-si-sostanziano-in-immagini. Tibaldi evolve il margine geografico a seguito dell’episodio pandemico tramutandolo in margine come condizione mentale.

In un mondo che distrugge la realtà, Tibaldi confina le sue opere al sicuro, in località da visitare con la mente. Nasce così La forma spezzata (2023), progetto editoriale sostenuto dalla Fondazione Pietro e Alberto Rossini di Briosco in provincia di Monza e Brianza ed edito da Allemandi. Con l’espediente della fiaba illustrata, miscela realtà esperita e fantasia suggestionata da elementi e dettagli che hanno sempre un risvolto nella realtà. L’aspetto bambinesco della favola lascia presto il passo, nei capitoli, a un’aspra critica agli stereotipi e aberrazioni educative proprie della cultura ‘provinciale’ italiana degli anni Ottanta e Novanta, rivoltandosi contro i genitori degli stessi bambini, che nel mentre si trovano a leggere la storia al figlio colgono un senso di autorivelazione verso sé stessi. Ogni capitolo è il risultato di un ragionamento desunto da immaginari (ancora una volta dislocazioni geografiche) sviluppati in opere su tavola. Vissero tutti felici e contenti, La sentenza, Il ritrovamento e Ancora (2023), sono opere che si pongono come mappe-concettuali. Trasmigrano pensieri e visioni attraverso disegno, collage, acquerello, fotografie, articoli di giornali e altri media, che espandono il ventaglio di significati possibili del libro e conferiscono un grado di apertura molto ampio. Come un moderno Atlante Mnemosyne (Warburg), Tibaldi mette insieme i phatosformel con cui l’estetica del potere riorganizza le sue forme, dalle icone politiche, sociali e culturali. Utilizzare il medium della fiaba è una chiara scelta di riportare un ragionamento simbolico entro un clima sociale post-utopico e post-ideologico.

Eugenio Tibaldi si innesta in un contesto specifico, partendo dall’analisi delle periferie italiane e decidendo di insinuarsi in discorsi spinosi e articolati, utilizza il margine come misura delle cose, estendendolo non solo al geografico ma al mnemonico, continuando a proporre immaginari e suggestioni mentali per niente viziate da un vivere quotidiano postmoderno, ma appare lucido con analisi puntuali e precise sul rapporto uomo-ambiente-arte.

Foto di B. Sales