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panorama

Eugenio Tibaldi

Alba 1977
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Angel Moya Garcia
30 marzo 2024

Le motivazioni per tornare nello studio di Eugenio Tibaldi sono molteplici, ma si riassumono nel desiderio di indagare gli ultimi progetti a cui sta lavorando e di studiare come si stia sviluppando la sua ricerca in relazione al cambio di marcia impresso negli ultimi anni. Nella produzione più recente, la sua riflessione sul margine e sulla periferia si è evoluta in una dimensione più intima, più legata alla propria condizione sociale e culturale rispetto al contesto in cui si trova a vivere e a lavorare.

La consapevolezza di aderire a una serie di istanze sulla decadenza dell’umanità, escludendo, invece, un repertorio di problematiche più rivoluzionarie o potenti in questo momento storico, lo ha portato a comprendere o a immaginare di poter interpretare un ruolo ben preciso: isolato ma non intrappolato, assorto ma non incompreso, con un lavoro che guarda altrove, parte di una cultura dominante, quella occidentale, che ci interroga su quale sia la parte giusta e quella sbagliata. In quest’ottica, Tibaldi accetta di essere nato e di vivere nella parte corrotta, e incarna una dimensione di colpevolezza che non finge di non conoscere le altre. Eliminando qualunque stereotipo, il suo lavoro si avvale di una simbologia concreta per raccontare la debolezza, la fragilità, le miserie e, contestualmente, la responsabilità dell’uomo occidentale.

In un momento storico in cui tanti artisti sentono il bisogno di confrontarsi con le urgenze più contemporanee, Tibaldi sembra prenderne distanza per concentrarsi sul senso di fallimento, sulla decadenza, sulla fragilità e sulle incertezze. Interessante è la consapevolezza di dover interpretare il ruolo del colpevole, immerso in un benessere borghese, per studiare i fenomeni senza appropriarsene, senza pietà e senza alcun approccio antropocentrico, con un’apparente astensione dal giudizio e da ogni snobismo ricercando, al contrario, l’empatia e la possibilità di far emergere problematiche che il più delle volte rimangono silenziate.

In questo momento sta lavorando a un progetto per la sezione Discovery di Art Basel a Hong Kong. Selezionato con la galleria Umberto Di Marino presenterà un palinsesto che riflette sulla deriva della provincia italiana in relazione al contesto internazionale, attraverso un lavoro pittorico che gli permette di acquisire un tempo di riflessione dilatato e che si esprime in una forma installativa basata su un processo relazionale di accettazione estetica. Ha inaugurato, poi, il Padiglione Italiano alla prima edizione della Biennale di Malta, con un’installazione site specific in cui formalizza un’indagine sulle dinamiche di inclusione nello spazio marginale, che resta spesso ignorato dalla coscienza comune.

La scelta di incarnare e di studiare argomenti che esulano da istanze più attuali, potrebbe determinare un isolamento e una marginalizzazione della sua ricerca rispetto al contesto contemporaneo delle arti visive, oltre a relegarlo nel ruolo di osservatore impotente e distaccato della realtà che lo circonda.

Tuttavia, il lavoro sulla periferia e sul margine, sull’esclusione sociale, lo porta attualmente a rivolgere su sé stesso il proprio sguardo, divenendo oggetto della sua stessa indagine, in un processo di colonialismo ribaltato che mette a nudo le eredità spinose della sua posizione e lo rende margine, altrove.

Foto di Lorenzo Morandi