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panorama

Ettore Favini

Cremona 1974

Vive e lavora a Cremona

Studio visit di Marco Scotti

La natura dello studio di Ettore Favini è doppia, almeno in questo momento. Lo incontriamo a Cremona, a un passo dal centro storico, con una pandemia ancora in corso che sembra limitare tutto, dagli spostamenti alle possibilità di sedersi a un tavolo insieme per parlare. Scendendo una rampa di scale ci si ritrova in un ambiente eclettico, allestito per rispondere alle esigenze di quel fare manuale che entra continuamente nei suoi processi e nelle sue ricerche. 

Oltre a questo spazio, Favini sta recuperando un casale nella campagna tra Piacenza e Cremona, che sarà il primo progetto futuro per l’artista: uno studio che risponda a necessità pratiche e che al tempo stesso sia un modello di sperimentazione. «Guardo all’Agricola Cornelia di Gianfranco Baruchello. In questi anni sto lavorando a un’ecologia delle persone». Un pensiero ecologico diverso rispetto a quando, con Verdecuratoda…,nei primi anni Duemila, Favini aveva portato un frutteto nell’area Falchera di Torino. Qui, nella campagna piacentina, ritroverà terreni da coltivare, spazi di lavoro ed espositivi. In questa prospettiva questo casale è un luogo ideale per organizzare residenze e scambi, per re-installare la storica vigna come per realizzare lavori ambientali, riprendendo una metodologia storica che, da Buren in avanti, mette in crisi e ripensa l’idea di studio attraverso un impegno critico.

Ma tornando nello spazio in città, Favini ci permette di mettere a fuoco i singoli lavori e il suo metodo progettuale. Il primo che ci mostra è un work in progress, ideato in origine per una mostra mai realizzata del 2014, che è stato anche il motore della sua attuale ricerca sul tessuto: un pezzo di legno svuotato, ora ripreso in mano e trasformato in un bassorilievo che racconta la vita del Mediterraneo, attraversato da un albero in continuo movimento con le sue vele, frammenti raccolti durante gli ultimi anni di viaggi lungo il mare. Quel mare che ha ritratto attraverso le comunità che abitano sulle sue sponde e che l’ha portato negli ultimi anni dalla Sardegna a Genova, fino a Tirana, passando da Roquebrune-Sur Argens e dalla residenza sull’Atlante marocchino di atla(S)now. Arrivederci è una serie di mostre, lavori, confronti e momenti che compongono un grande arazzo in divenire, un fare condiviso e continuo che muove da un’idea di tessitura intesa come simbolo, «trama e ordito all’interno del quale si incrociano storie». 

Su una parete dello studio è ancora installato il telaio su cui ha intessuto il tappeto esposto durante l’ultima edizione di Dama a Torino, nella libreria La Bussola, e sul quale si sono alternati a discutere Carolyn Christov Bakargiev, Michele Masneri e Leonardo Caffo insieme a Gianluigi Ricuperati. Ma tutti i progetti di Ettore Favini sono delle cronologie che prendono varie direzioni e arrivano a esiti differenti, non solo formali, mantenendo una coerenza che li porta a indagare e porre domande di volta in volta differenti. 

Dalle montagne dell’Atlante arrivano i sacchi un tempo utilizzati per trasportare ogni tipo di materiali, abbandonati e quindi raccolti dall’artista: oggi sono il supporto su cui sta ricamando motivi della tessitura marocchina, elementi ripresi dai tappeti, frammenti di quelle che sono biografie tramandate e arricchite attraverso le generazioni, una storia che porta le tracce di chi li ha realizzati.

Quello di Favini è un linguaggio fatto di simboli, che si costruisce in tempi lunghi e assume diverse declinazioni formali, senza rinunciare mai a una dimensione scultorea. Il momento di sperimentazione e verifica nello studio trova il suo contesto ideale: sui tavoli si possono vedere prove di cianotipie su terracotta, fusioni in bronzo a partire da differenti tessuti, così come un progetto per registrare la parola “Arrivederci” e trasformarla in un brand. Un’appropriazione attraverso la scrittura portata al limite dell’utopia e della provocazione, per una parola che attraversava le sale del Port Tonic Art Center, tradotta in tutte le lingue parlate lungo le sponde del Mare nostrum e ricamata su bandiere colorate. Au Revoir è anche il titolo del progetto di arte partecipata curato da Connecting Cultures e vincitore del bando Italian Council 2019, che rifletteva sul Mediterraneo con arazzi e piccole sculture di navi in bronzo, iconografie riprese da antiche narrazioni in pietra. Un percorso che muove dalla memoria e prende forma attraverso il confronto con i diversi contesti.