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panorama

Erika Godino

Lamezia Terme 1993

Vive e lavora a Lamezia Terme e a Milano

Studio visit di Marcello Francolini

aprile 2022

Erika Godino si forma all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria. Attualmente di stanza a Milano, costruisce il proprio percorso tra la fitta rete di relazioni culturali, urbane e artistiche che la città offre.

Definirei Erika una manutentrice della forma. Un lavorio classico, il suo, trasportato nello spazio attuale, dalla tela unica a pezzi frammentati presentati come paesaggi sinottici, in cui l’immagine finale è una multivisione di prospettive analogiche. Ho detto analogiche e non visive perché il suo processo di inquadramento della realtà, nella realtà pittorica, non segue una via ottica, né per via diretta né indiretta attraverso riproduzioni d’immagini fotografiche, digitali o altro; il suo è un procedimento che utilizza il fondo memoriale in cui i ricordi si sedimentano e si stratificano.

Ma i ricordi stessi, talvolta, non vengono fuori che da processi associativi spontanei, non legati a una contingenza razionale ma libera, espressiva di forme sintetiche che si pongono come rappresentazioni organizzate in una bella forma. Questo del bello è qui da intendere nel suo significato originario, della filosofia della scuola eleatica, come principio di armonizzazione in forme delle cose esteriori. Così si svolgono i lavori di quest’ultimo biennio, come nel caso di Viaggio onirico (2021). All’inizio v’è il tentativo sintetico formale, di dare l’essenza corporale, non il corpo di qualcuno in particolare, in modo tale di lasciare il campo quanto più largo per essere occupato da ognuno che vi si ritrovi. Un corpo tipo. Perde i limiti come la reazione agli stadi emotivi in un percorso dall’inquietudine alla consapevolezza, la piena luce raggiunta dalla pace finale, nella monocromia rosso-bruno. Uno stadio interiore primario. Una riduzione all’Uno come sottrazione del Due. Una sintesi originaria.

Questo stesso principio duale e unitario ritorna anche in Flussi (2021), qui la disposizione cinematica dei frame segue un’origine duale che dal buio prende forma fino a dissolversi in piena luce, un’assenza di gradazioni che tutto‘indistingue’. Il silenzio della chiarezza, il mezzodì, il sole a picco sulla Terra.

Quest’uso grafico del segno, della grafite, della linea, s’avvicina d’altronde alla più astratta delle attività ideative, il disegnare, il chiarirsi dell’idea primaria, in cui riflette la stessa purezza dei dogmi generali legati al non essere. Come per l’opera Anima in sospensione (2020), che riflette memorie di Giacomo Balla, legate a quel processo di figurazione delle forze energetiche e spirituali dell’invisibile che prendevano ancoraggio dalle ipotesi della quarta dimensione, un’astrazione primigenia legata al tentativo di costruire forme schematiche delle dimensioni ulteriori, in cui appunto universo e spirito trovano continuità. In cui la pittura diviene pratica spirituale, capace di assorbire l’evidenza concreta dell’oggetto per smaterializzarlo in altra forma come nel ciclo di Estasi (2020) che sarebbe bello poter vedere su scala più grande. È in questo spazio indefinibile che si muove lo sforzo cognitivo di Erika, nel tentativo di farsi chiarezza di modi di definire la memoria, intesa come la dimensione propria dell’essere. Ciò in parte, questa ricerca, partecipa del sentire della condizione attuale della nuova arte italiana, che riporta la questione del simbolico come attività densa e ricca di sostrati in cui ognuno può ritrovare l’autenticità del proprio sé, ormai estraniato dai mezzi tecno-scientifici che lo distanziano dall’esperienza concreta. In questo modo di incedere, la pittura grafica di Godino è rievocazione, per cui il limite tra astrazione e figurazione si assottiglia quasi invisibilmente a cospetto della forma-ricordo che si esplica in una dimensione che la vede come immagine di immagini.

Certo è che, nello studio, occupa una parte ampia una produzione di tele astratte che non considererei più che degli esercizi di stile, poco interessanti sul piano della costruzione concettuale di un’impalcatura sinestetica, come nel caso delle opere precedenti. Ma anche nel caso di queste composizioni più complesse trovo già più interessante Catarsi (2021), nella sua struttura, che in una parte sbilancia leggermente la simmetria parallelepipeda delle precedenti. D’altronde a chi interesserebbe mai l’equilibrio? La storia dello stesso teatro del Novecento è una continua ricerca laboratoriale sul disequilibrio del corpo, della scena, del senso stesso del limite tra palco e platea.