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panorama

Elisabetta Benassi

Roma 1966
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Lara Demori

Elisabetta Benassi vive e lavora da sempre a Roma. La sua casa è anche il suo studio, il luogo dove pensa e produce. Artista eclettica e multiforme, penso a Benassi come a un’archeologa scrupolosa che scava la Storia, la interroga interrogando sé stessa. Ne raccoglie alcuni pezzi e con inconsueta intuizione li disperde nel presente. A volte li rimonta, confondendoli con parti di sé in maniera imprevedibile e mai banale. Spesso si improvvisa performer, anche comica: mi è capitato di vederla inerpicarsi per le stradine strette e assolate di Procida all’interno di un’Ape e ‘annunciare’, con l’aiuto di un megafono e i toni di un venditore convincente, slogan che altro non sono che titoli di opere di Alighiero Boetti. In risposta, gli sguardi increduli e accesi dei passanti (Ordine e disordine, Procida, 4 settembre 2021, nell’ambito della collettiva Panorama. La performance si sviluppa da un’opera sonora, installata a Brescia nel 2016. In quell’occasione, gli annunci venivano trasmessi con un sistema di audio diffusione in una delle stazioni della metropolitana, allo scoccare di ogni ora del giorno).

Dopo la mostra Lady and Gentlemen alla Fondazione Pini di Milano, Benassi ora lavora a un progetto per City Life, l’area della ex Fiera Campionaria di Milano, legato alla storia economica e sociale della città. Ad aprile, invece, parteciperà a Midnight, Biennale di Coimbra, con l’opera Finalmente solo, finalmente tutti (2013-2022) e, sempre in primavera, è in previsione l’inaugurazione, alla Crypta Balbi, dell’ultima iterazione del progetto vincitore dell’Italian Council, Empire (2018-2022), che ha già viaggiato dall’Istituto italiano di cultura a Londra al Museo Nazionale Romano – Palazzo Altemps, passando per la Mostyn Gallery in Galles.

Lady and Gentlemen gioca in forma ironica sul titolo di una delle più celebri serie foto-serigrafiche di Andy Warhol, Ladies and Gentlemen, esposta a Ferrara a Palazzo Diamanti nel 1975, che ruota intorno al tema del travestimento. Ed eccolo Warhol, comparire proprio nella prima sala nel video di una conferenza stampa in occasione dell’esposizione ferrarese. L’opera vera e propria consiste nella riproduzione ad acquarello di nove assegni – ognuno custodito in un mini-frigorifero nero con lo sportello di vetro trasparente – copie minuziose di quelli intestati a Luciano Anselmino, gallerista torinese che aveva commissionato a Warhol la famosa serie. Anselmino fece firmare degli assegni per cifre irrisorie ad alcuni degli artisti con cui lavorava, i “Gentlemen” del titolo di Benassi: oltre a Warhol, Allan Kaprow, Giorgio de Chirico, Man Ray, Christopher Makos, Alexander Jolas e uno non identificato. E poi c’è lei, l’artista, la “Lady”, appunto, con il suo assegno lasciato in bianco, che entra in una storia non sua e la riscrive, apponendovi la propria firma.

L’opera che esporrà a Coimbra è invece già stata esposta in altre occasioni (le mostre Voglio fare subito una mostra, alla Fondazione Merz nel 2013, e More than Just Words [On the Poetic], 2017, alla Kunsthalle di Vienna). Nella installazione di Coimbra, riadattata in dialogo con lo spazio espositivo, un antico convento del Settecento, due lampade morse, di quelle in uso sulle navi, si parlano a distanza attraverso segnali di luce. È un linguaggio, il morse, ormai dimenticato; il loro dialogo impossibile, incomprensibile, si poggia sul paradosso di una comunicazione asemantica, eppure intima e suggestiva. Benassi è intervenuta sul dispositivo, un tempo manuale, automatizzandolo: oltre che dai lampi di luce, il tempo è scandito dal rumore del meccanismo magnetico che lo aziona.

Empire è una delle opere più significative di Benassi. Da un lato richiama alla memoria il titolo di uno dei libri cardine del post-modernismo, Empire (2000), in cui Antonio Negri e Michael Hardt discutono il passaggio da una forma di sovranità nazionale di matrice europea all’imperialismo globale americano; dall’altro si rifà all’assemblage di mattoni marchiati “Empire”, Manifest Destiny (1986), di Carl Andre. Citando l’artista americano, Empire di Benassi si intromette in luoghi storici con una presenza ingombrante, quasi scomoda: seimila mattoni in terracotta nera e viola e uno di bronzo dorato assumono configurazioni diverse, a seconda del luogo che li ospita. A volte sono labirinti, o geometrie, o ancora lettere dell’alfabeto. La serialità, la ripetizione estenuante della parola Empire, impressa su ogni mattone, ne accresce il riverbero e dà forza immaginaria a quella che vuole essere una riflessione – di un’attualità quasi sconcertante – sull’impero come concetto astratto e tuttavia immanente alla realtà di un presente senza confini spaziali o temporali.

L’opera di Elisabetta Benassi alterna, nel suo rapporto con la Storia recente, un dialogo incentrato su uno sguardo ironico, a tratti provocatorio ma mai dissacrante. L’artista si distingue nel panorama italiano non solo per la sua grande capacità di ricerca – che la avvicina, seppur con esiti diversi, ad artisti come Lara Favaretto – e appassionata potenza narrativa, ma anche per essere in grado di non ripetersi mai, eludendo ogni tentativo di classificare le sue opere entro stilemi o formule già viste.

EMPIRE, 2018 – seimila mattoni inglesi neri e viola, un mattone in bronzo e foglia d’oro, 25×11,5×8 cm ciascuno, dimensioni ambientali, installazione temporanea a Palazzo Altemps, Museo Nazionale Romano, Roma, courtesy l’artista e Museo Nazionale Romano, Roma
Finalmente solo, finalmente tutti, 2013 – due lampade Morse, due tripodi, due elettrocalamite, centralina elettronica, cavi elettrici, dimensioni ambientali , courtesy l’artista, Magazzino Roma, foto Andrea Rossetti