Padova 1982
Vive e lavora a Rotterdam
Studio visit di Elena Forin
18 novembre 2023
Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna e allo Iuav di Venezia, nel 2018 si è trasferita in Olanda per una residenza alla Jan Van Eyck Academie.
Ho conosciuto Elisa Strinna una decina di anni fa, quando la sua ricerca analizzava il rapporto tra eventi naturali e dinamiche economico-politiche. Da allora il suo approccio è cresciuto seguendo questa linea conduttrice e oggi si concentra sulle relazioni tra i diversi esseri viventi, con particolare attenzione all’impatto delle tecnologie e delle politiche estrattive sull’ecosistema. Data la complessità di questi temi e la loro contaminazione con aree scientifiche, antropologiche, storiche e culturali, ogni suo progetto prevede percorsi di indagine specifici con studiosi di ogni ambito: da qui nascono installazioni immersive che impiegano video, scultura, ceramiche, suono e disegno e che sono concepite come microcosmi di cui ci mostra una ricca rete di elementi e le loro connessioni.
A emergere con particolare forza nelle sue opere sono le forme di sopravvivenza, di resistenza e di crescita degli esseri viventi in condizioni inospitali e in situazioni estreme: uomini, piante, microparticelle e organismi vengono infatti spesso analizzati in chiave comparativa dimostrando possibili simbiosi, analogie e ibridazioni. Gli esseri, ci dice Strinna, possono nutrirsi l’uno dell’esperienza dell’altro per trovare strategie e sviluppare sistemi diversi da quelli che la società tende a imporre: le sue opere traducono quindi molte delle urgenze in cui il pianeta e gli individui si trovano connessi, sviluppando le proprie narrazioni attraverso una potentissima forza visiva. La sua ricerca infatti dedica la stessa attenzione al piano concettuale, narrativo e produttivo, non dimenticando mai l’importanza della forma e la sua fenomenologia nel presente e nella Storia.
Colonizzare l’universo investendo su ricerche in luoghi inospitali è una delle risposte dei governi all’esaurimento delle risorse. La Terra però ci mancherà, disse l’astronauta Mikail Kornienko tornando da una missione spaziale: People Will Miss the Earth. This Is More than Nostalgia, un ciclo del 2022-’23, parte da questi presupposti e si compone di sculture in porcellana che riproducono la forma di alcune piante di uso alimentare cresciute in condizioni diverse (Microgravity Ecosystem), “reperti archeologici spaziali” in ceramica raku (Exploded Sputnik), esempi di resistenza in ecosistemi estremi come le serre abbandonate in Liguria (Withered Season Flowers). A questi si aggiunge The Antarctic Gardener, un documentario creativo realizzato con materiale d’archivio di EDEN ISS ─ un progetto di coltivazione alla Neumayer-Station III in Antartide che testa la colonizzazione spaziale ─ e con riprese narrative che raccontano gli stati d’animo della ricercatrice lì confinata e la sua vita tra studi, isolamento, relazioni virtuali e soli artificiali.
In questo periodo sta dando seguito a My Body Is a Plant il cui primo esito è stato esposto a documenta15 insieme a Withered Season Flowers. Il ciclo connette la natura degli esseri umani con quella delle piante officinali impiegate dalla medicina non convenzionale per guarire diverse patologie. Nella fase attuale del progetto, la scelta è ricaduta sulle specie menzionate nei verbali dei processi per stregoneria, e che hanno una triplice valenza in base alla posologia: possono essere velenose, allucinogene e curative. «Nella fitoterapia ─ dice Strinna ─ il principio di guarigione è determinato dalla capacità della pianta di ristabilire un equilibrio all’interno del corpo umano. La consapevolezza dei principi che attivano queste dinamiche denota una interdipendenza e corrispondenza tra il mondo vegetale e quello umano. Questa consapevolezza potrebbe essere di ispirazione per scrivere un futuro diverso, dove si favoriscono, come sostiene Donna Haraway, pratiche di simbiosi e collaborazione intra-specie».
Dovendo trovare un punto di debolezza in questa indagine così densa, posso solo dire che la natura al confine tra videoarte, documentario e film di The Antarctic Gardener rende forse complessa l’identificazione di un pubblico.
Al di là di questo, degno di nota è il fatto che Strinna porta avanti progetti indipendenti dal mercato: il sistema olandese riconosce da anni il valore del suo lavoro contribuendo alle produzioni e favorendo la crescita della sua indagine. La transdisciplinarità dei suoi interessi e la capacità di restituirla attraverso linguaggi diversi, sempre impeccabili anche dal punto di vista formale, la rendono una delle voci più interessanti di questo momento storico. Peccato non vederla più spesso in Italia.