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panorama

Edoardo Manzoni

Crema 1993

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Edoardo De Cobelli

Lo studio di Edoardo Manzoni rispecchia solo in parte il carattere della sua ricerca. Per scoprirne l’aspetto meno addomesticato, nonché il contesto dove tante delle sue riflessioni sono nate, bisognerebbe andare nella campagna cremasca dove l’artista è cresciuto e dove per anni ha ospitato Residenza La Fornace, progetto espositivo immerso nella cornice dei campi. La ricerca di Manzoni è infatti inestricabilmente legata al contesto rurale, al mondo della caccia e all’immaginario animale, come punto di partenza per comprendere fenomeni e comportamenti che spesso l’uomo mutua dalla natura.

Le pareti neutre di cemento dello studio sono però adatte, per conoscere le opere di Manzoni, nella misura in cui all’artista piace estrapolare i concetti che affronta dal loro ambiente di origine, per poi approfondirli e relativizzarli decontestualizzati. Lo studio è occupato da trappole apparentemente appuntite ma sostanzialmente prive della loro funzione originaria, stampe di animali la cui immagine è stata sottratta, opere a forma di nidi e oggetti trovati… la sottile distinzione tra naturale e artificiale è lo spazio di gioco e ambiguità da cui muovono molte delle sue riflessioni. Il gioco, l’ambiguità e la seduzione sono anche componenti fondamentali delle strategie che vengono studiate e rimesse in atto dalle sue opere. Se il concetto di trappola, ad esempio, rammenta la strategia di caccia passiva più conosciuta, l’artista trasforma l’opera-oggetto in una trappola visiva, come un cacciatore di sguardi e attenzioni.

Nella mostra personale ospitata da The Address nel 2020, la galleria ospitava un gruppo di sculture in legno intagliato e dipinto che riprendevano il motivo del fischietto, riprodotto su scala moltiplicata. Anche qui, la funzionalità veniva abbandonata per focalizzarsi sul carattere formale ed estetico di un oggetto la cui apparenza è, ai più, solitamente poco degna di nota. Le sculture si trasformavano in oggetti di design che sottolineavano forme e stili tradizionalmente ricorrenti.

La campagna non è dunque un universo nostalgico da recuperare, ma un dizionario di storie, forme ed elementi che l’artista, ripercorrendo il suo immaginario a partire dal periodo di formazione, riprende con un approccio al tempo personale e distaccato, come oggetto di studio e rielaborazione. Le trappole perdono la loro funzione, ma non il loro fascino; il nido perde la dimensione di casa, ma ospita un paio di occhi, posizionati tra i rametti, che sembrano ricambiare il nostro sguardo. La nostalgia si trova allora forse più negli occhi dello spettatore, che si trova a immaginare storie e narrazioni lontane dall’odierna vita quotidiana. La funzione di questi oggetti si era probabilmente persa prima che Manzoni la decostruisse formalmente, o più probabilmente non è mai stata veramente vissuta, lontani come siamo dai tempi e i modi in cui venivano utilizzati.

Nell’ultimo periodo, oltre a portare avanti la serie di opere che sviluppano i principi di seduzione e inganno propri del concetto di trappola, Edoardo ha rivolto la sua attenzione all’uso dell’ornamento, che l’animale sviluppa come meccanismo di difesa e riproduzione alternativo alla legge della forza. Gli uccelli tropicali, come i cosiddetti uccelli del paradiso, una famiglia di uccelli canori, usano strategie diverse basate sulla bellezza, in opposizione alla violenza, nella forma del canto, nel loro caso, (tema già portato al PAV nel 2020) o dell’ornamento in altri (tema sviluppato nell’opera Colpo di vento (argo maggiore), 2021).

Nel momento in cui la distinzione tra naturale e artificiale si fa problematica, come può esserlo la distinzione tra la città e una compagna sempre più antropizzata, ci si aspetterebbe, forse, che un artista che ne parla assumesse oggi una posizione politica sul tema, la quale non sembra trasparire dalla pratica di Edoardo Manzoni. È tuttavia giusto aspettarsi una posizione da una ricerca, solo perché l’argomento sembra esigerlo? Non è piuttosto la volontà di affrontare questi aspetti già l’espressione di una posizione? L’aspetto, se vogliamo politico, di ogni opera è infatti intrinseco alla sua funzione come dispositivo.