Cerca
Close this search box.

panorama

Domenico Antonio Mancini

Napoli 1980

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Francesca Guerisoli
4 marzo 2022

Abbaglia la luce che irradia lo studio di Domenico Antonio Mancini, una stanza bianca e dall’arredo minimale dell’abitazione che condivide con l’artista Silvia Hell. Qui, Mancini ha disposto un grande tavolo che gli permette di lavorare agevolmente alle sue opere, che non di rado consistono in grandi tele, disegni, o oggetti bidimensionali come tappeti e arazzi. Al momento vi è steso un lavoro in progress sulle isole penitenziarie che cita testi di Abdullah Öcalan. Alle pareti sono allestiti alcuni lavori conclusi e altri in lavorazione, tra cui quello che ritengo il più significativo dell’intero suo percorso artistico: la serie Landascapes. Significativo perché, a mio avviso, condensa la pratica artistica di Mancini, sia dal punto di vista formale sia concettuale. Le sue opere, in generale, definite con estrema cura al dettaglio, appaiono in un primo momento impenetrabili, ma non respingenti. Anzi, questa condizione alza la soglia dell’attenzione e ci porta a porre continue domande coinvolgendoci in una tensione investigativa tra indizi espliciti e sottotraccia. Perché un monocromo bianco con un URL nero? Dove ci porterà?

I suoi soggetti non incarnano solo l’elemento collettivo, politico e/o sociale, bensì nascono dal proprio vissuto. Il lavoro è dunque legato da un doppio filo che aggancia l’osservazione e l’analisi dei nodi della storia recente e della contingenza e la sua dimensione privata, individuale, anche se questa rimane celata alla vista dell’osservatore. È così anche nella serie Landscapes, che nasce nel 2015 dalla commissione di un disegno per una rivista di studi sulla storia locale del quartiere di Ponticelli, seconda casa dell’artista, che verteva su una precisa strada, via Argine, che collega la periferia orientale di Napoli e la stazione. Mancini non ha una vera e propria pratica di disegno: invece di rispondere alla commissione fornendo una sua immagine di via Argine, ha trascritto una stringa di Google Maps Street View che tutti possono aprire dal loro pc. Mancini preleva dunque dalla realtà una traccia e la restituisce sotto forma di dipinto, il cui interesse primario non è l’immagine stessa, che è quasi incidentale, ma la costruzione come codice. Non è, di nuovo, un caso che questo sia un lavoro sul paesaggio, proprio nel territorio in cui questo genere ha avuto un’importanza fondamentale. Un ‘dipinto non dipinto’, dunque, che trascina dentro di sé la contingenza e la pervasività dei media digitali nella nostra vita quotidiana.

Strettamente connesso alla serie dei Landscape c’è quello che potremmo definire il lavoro più popolare di Mancini, La periferia vi guarda con odio, non presente in studio (è stato acquisito dal MADRE), che con costanza viene condiviso dagli utenti dei social. Da un lato mi fa venire in mente i neon di Alfredo Jaar con citazioni da vari autori; forse il link all’artista cileno deriva anche dal fatto che entrambi, oltre a muoversi con agilità tra i diversi mezzi e con un lavoro di stampo socio-politico, hanno una cura attenta al dettaglio e un impianto formale basato su elementi essenziali. La luce come mezzo espressivo è sempre altamente scenografica e lo è anche in questo caso. La frase, però, non è rassicurante; Mancini tiene a sottolineare che questo “è un lavoro cattivo” perché incarna la cattiveria dei più e, prelevando la scritta da piazza Missori a Milano – un quartiere ‘in’ della città – e trasformandola in opera se ne assume la responsabilità.

Non è questo il primo studio visit che ho fatto con Mancini. Ogni volta che osservo i suoi lavori, penso che non possono che essere di Mancini. La sua firma si distingue chiaramente. Vedo inoltre una perfetta corrispondenza tra lui, come persona, e il suo lavoro. A volte mi capita di non riuscire a decifrare del tutto gli indizi o le connessioni che traccia (lui stesso è sfuggente), e da qui il desiderio di discuterne. Nel racconto e nel confronto ogni opera acquisisce man mano sempre più forza e coerenza quasi matematica, lasciando comunque aperto il campo all’interpretazione.