Cittadella 1989
Vive e lavora a Torino
Studio visit di Elena Forin
3 maggio 2024
Edoardo De Cobelli ha parlato di Davide Sgambaro in un testo denso e dalla lettura piacevole che ha messo a fuoco, tra le tante cose, anche il rapporto tra incertezza, imprevedibilità e sostanza che si manifesta nelle metafore della sua indagine: ho incontrato l’artista pensando a questi valori.
Il suo lavoro è strettamente collegato agli spazi in cui si inserisce: più che banalmente site-specific però, la sua pratica prevede la ricerca di tensioni sempre nuove a cui sottoporre l’opera. Alla base di questo processo, mi dice, c’è il desiderio di una prospettiva che passa inevitabilmente dallo sperimentare l’attrito tra la storia e un futuro (im)possibile per l’opera stessa. È questo il caso, ad esempio, di Whistle and I Will Come to You (2022), I Push a Finger into My Eyes (2021), Padre perdonali perché non sanno quello che fanno (2016), Off the Hook! (2023) e Valzer (2015-2021). Ciascuno di questi lavori nasce, infatti, dalla volontà di vivere un luogo e di realizzarvi uno spettacolo. Il pubblico non assiste a queste performance che si svolgono in un momento precedente e che generano l’apparato visivo successivamente condiviso. Che si tratti di far scoppiare dei petardi in una stanza, di azionare degli skydancer in uno spazio o di intaccare pareti sporcandole con i segni di una sedia, Sgambaro agisce pensando agli ambienti come a cellule minime in cui la dimensione vitale è quasi completamente compromessa. È questa compressione tra presenza, azione banalmente semplice e contesto a generare il linguaggio e l’identità estetica dell’opera: non siamo di fronte a tecniche codificate e a forme visive immediatamente riconoscibili, ma a un’indagine che fa parlare l’individuo attraverso lo spazio e che affida alla presenza di segnali anche minimi il racconto degli umori e dell’asfissia del nostro tempo. La perdita della capacità di lettura data dalla logica della velocità (dei social, dell’economia, del marketing dei prodotti), prende corpo proprio attraverso le impronte che ciascuna di queste azioni consegna agli spazi: lo scoppio dei petardi o lo sporco provocato dai gonfiabili che tentano di muoversi in un ambiente troppo angusto restituiscono in immagine la prospettiva accorciata del nostro immaginario e del nostro possibile margine di libertà. Rispetto al ragionamento sul futuro dell’opera cui si è fatto cenno, è un aspetto che ha a che fare anche con il muoversi dell’opera lungo l’asse della visibilità: ciò che lascia un segno non può essere un evento neutrale ─ e dargli attenzione, per l’artista, è una scelta dal profondo valore politico da sperimentare tanto nello spazio condiviso quanto nella dimensione dell’opera-oggetto come nel caso di Off the Hook! e I Push a Finger into My Eyes, recentemente esposto dalla Quadriennale a Palazzo Braschi.
All’interno di questa traiettorianascono anche lavori che riflettono sulle immagini comuni, sulle forme di figurazione pensate per mettere a proprio agio, sull’accessibilità e le possibilità nella lettura delle fonti visive: strappando le lettere dall’etichetta della birra Peroni, nasce EROI, che trasforma l’immaginario della pausa e dello svago in una dimensione epica. FENOMENO (Smiley), impiega invece uno smile laser che, appositamente manomesso, non è pienamente catturabile dai dispositivi mobili ─ e quindi non condivisibile nell’universo social delle piattaforme online.
Se a svanire sono invece i contorni di una certa economia, per Sgambaro diventa cruciale renderne evidente il tramonto: Sete, un progetto a cui sta dedicando una parte notevole della sua ricerca, prevede il recupero delle insegne di ristoranti chiusi e/o falliti e la loro esposizione in massa nello stesso ambiente, illuminato da luci che nella realtà e nel paesaggio sono oramai spente. È un’installazione non ancora realizzata, ma su cui è bene continuare a lavorare perché è un’opera di cui credo ci sia bisogno.
Il punto di debolezza e il punto di forza di questa ricerca risiedono paradossalmente nello stesso elemento. Quella forma di auto sabotaggio dell’opera che non si rende necessariamente riconoscibile e non si connota con un’estetica sempre rispondente a canoni delineati rappresenta il rischio più forte per il lavoro di Sgambaro, ma anche l’elemento di più intenso coraggio e radicalità. Muoversi tra inafferrabilità, ironia, ribaltamento e non riconoscibilità non comporta infatti solo l’inserirsi in una logica contraria rispetto a quella del mercato mainstream (anche in termini espositivi), ma implica specialmente il compimento di una visione che rilegge e amplifica con potenza il senso e la più profonda natura della monumentalità.