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panorama

Davide Dormino

Udine 1973
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino

Entrando nello studio di Davide Dormino, al Pigneto, si ha l’impressione di entrare nell’officina di un qualche fabbro rinascimentale, o anche di quello che ai tempi della scuola abbiamo immaginato dovesse essere lo spazio nel quale lavorava Efesto, dio della metallurgia e della scultura. Tra pietre e marmi, acciaio e legno, parliamo della sua idea di scultura come pratica sociale, dell’arte come intervento sulla realtà che serve a interpretarla ma anche a cambiarla, a suscitare un sentimento di sospetto rispetto alle nostre certezze, quelle che sedimentano per educazione o abitudine nella nostra quotidianità e ci rendono spesso ciechi rispetto alle emergenze esistenziali e politiche. Davide ha consapevolmente scelto di dedicarsi a un lavoro che mal si adatta agli spazi e al mercato delle gallerie, trovando la sua chiave di volta negli spazi aperti delle città o dei parchi, a volte in project room o in spazi alternativi nei quali intervenire più liberamente. Si tratta di una scelta estetica ma anche intrinsecamente politica, proprio per quello che dicevamo prima, ovvero di una scelta di campo a favore della funzione sociale dell’arte a cui Davide rimane fedele e che allontana il suo lavoro da ogni autoreferenzialità specificatamente linguistica. In questo senso il lavoro di Dormino si inserisce in una delle declinazioni più interessanti dell’arte italiana degli ultimi vent’anni, una scena che ha fortemente recuperato una vocazione sensu lato politica dell’arte, dopo l’estenuante deriva ultra-narcisista che aveva caratterizzato i decenni precedenti. E lo fa con una sua cifra che si è fatta negli anni sempre più riconoscibile e originale. Nello studio rimangono tracce delle varie tappe di un lungo percorso che va da Editto, una lastra d’acciaio del 2013 su cui campeggia la frase «Per essere felici bisogna essere coraggiosi», che subito rimanda a quella ‘scelta’ che salva dalla solitudine e dall’infelicità, a Scala reale, un intervento del 2014 negli spazi abitati del museo MAAM che consiste in trentatré scalini che permettono agli abitanti di ‘usare’ in sicurezza piani delle loro abitazioni ma anche di ‘uscire’ dalla marginalità cui spesso la nostra indifferenza condanna gli ‘invisibili’, a Naviganti, del 2017, sette remi rovesciati e appoggiati a un muro – forse una delle sue opere poeticamente più riuscite nella sua essenzialità minimale – fino a Anything to Say? (2015-2020), la sua opera senz’altro più conosciuta, un monumento al coraggio e in difesa della libertà di parola, dedicata ad Assange, Snowden e Manning, che ha girato il mondo invitando ovunque i cittadini a prendere la parola e difendere la propria libertà. Ancora la scelta quindi, un tema che ricorre nei lavori di un artista che attualizza il messaggio della filosofia esistenzialista.

Nel momento in cui visito lo studio, Dormino sta lavorando al suo nuovo progetto, un’installazione ‘esperienziale’ pensata per la Fondazione Volume, dal titolo Quando il bambino era bambino. Lo si può definire solo così questo ‘evento’ a cui il visitatore potrà partecipare fino alla metà di aprile circa, e nel quale ognuno si troverà improvvisamente immerso nei frammenti della propria memoria e poi letteralmente solo di fronte a sé stesso e alle proprie responsabilità, ancora una volta esistenziali e sociali. Questo è senz’altro il progetto più complesso e quello che, per efficacia poetica, esprime la stessa potenza di Naviganti. Infine, se proviamo a leggere parallelamente più lavori, emergono più chiaramente alcune cifre di questo artista, ma forse anche una incrinatura, tematica e formale, che non è tanto o solo un difetto, ma probabilmente una peculiarità. Dal punto di vista tematico la ‘scelta’, così come viene declinata, rimanda a una responsabilità personale che spesso, nella concretezza dei rapporti materiali, non dipende da una libera volontà, ma da quelle strutture relazionali e da quei rapporti di potere che un certo esistenzialismo ha trascurato. Dal punto di vista formale invece, i lavori risolti nella loro essenzialità minimale, con minori preoccupazioni rispetto alla ‘correttezza’ linguistica, sembrano quelli più liberi di esprimere tutta la loro poeticità. Insomma, «Ars est celare artem», e questo significa che, come nel calcio, Dormino lo sa bene, il gol impossibile è il risultato sempre e soltanto dell’allenamento e della disciplina quotidiani.