Cerca
Close this search box.

panorama

Davide D’Elia

Cava de’ Tirreni 1973
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Nicolas Martino

Davide D’Elia ha studiato Visual design a Napoli e ha diviso la sua carriera artistica tra due città, Londra prima e Roma poi (attualmente il suo studio si trova provvisoriamente a Cervaro, in attesa di una nuova destinazione). Se a Londra D’Elia si afferma nel mondo del design, è soprattutto a Roma negli anni Dieci del nuovo millennio che si sedimenta la sua particolare sperimentazione pittorica, affermandosi come uno degli artisti più originali della sua generazione.

L’esperienza nelle due capitali fa parte strutturalmente della sua poetica, legata ai concetti di caldo e freddo, tanto che l’ultimo suo progetto, il libro dal titolo Tiepido Cool (Viaindustriae publishing, 2022, a cura di Elisa Del Prete e Silvia Litardi di NOS Visual Arts Production, con testi di Del Prete e Mike Watson) – tra i vincitori del bando dell’Italian Council 2021 ‒, è senz’altro quello che meglio riassume il suo percorso, riuscendo a comprenderlo nella sua complessità e aprendo la ricerca a futuri sviluppi. Se siamo portati ad associare il design al freddo, come la città di Londra, e la pittura al caldo, come la città di Roma, e se anche questa dicotomia ha una sua verità, D’Elia rovescia le carte in tavola lavorando prima a Londra a una serie di “muffe” calde, e poi lungamente a Roma su una pittura fredda e concettuale, realizzata con le vernici antivegetative che si usano in nautica per evitare che la parte sommersa delle imbarcazioni, tecnicamente l’“opera viva”, venga intaccata dalla proliferazione dei parassiti. E proprio questo tipo particolare di pittura è diventata il segno distintivo di D’Elia, la cui poetica ruota attorno al concetto di tempo e, quindi, al tentativo di fermarlo e conservarlo per resistere alla cancellazione a cui la Storia, intesa come ineluttabile scorrimento, condanna cose, fatti e persone. Le sue opere – che abbiamo visto esposte da Ex Elettrofonica a Roma nel 2021, a Bologna al Museo Bargellini e a Monaco da NMContemporary nel 2022 –, resistono poeticamente all’irreparabile, cicatrizzando il trauma nel quale il tempo ci vorrebbe stringere. Anche il libro che sfogliamo a studio è, in realtà, esso stesso un’opera con la medesima funzione.

Lavorando sulla contrapposizione tra caldo e freddo, vitale e asettico, organico e sintetico, D’Elia sviluppa una poesia che riflette su una delle grandi questioni che da sempre interrogano l’uomo e quindi l’arte: Che cos’è il tempo? E come fermarlo? Basterebbe qui ricordare De Dominicis e la sua idea dell’opera come ciò che sconfigge il tempo “cronologico”, aprendo alla dimensione dell’“aion”, o anche solo accennare alle scoperte della fisica quantistica secondo cui il tempo, così come lo abbiamo concepito, semplicemente non esiste. D’Elia, inoltre, è riuscito a sviluppare la sua ricerca trovando un segno e un colore che rendono le sue opere inconfondibili. Lavorare sulla pittura, reinventandola dall’interno, ed elaborare un linguaggio poetico che funzioni come terapia contro la corruzione del tempo, è ciò che fa di questo artista uno tra i più interessanti del panorama italiano contemporaneo.

Se di grande suggestione sono anche le installazioni, nelle quali D’Elia entra in relazione con opere del passato (come, per esempio, in una mostra del 2018 da Bibo’s Place a Todi), è forse utile ricordare che il tempo contro il quale qui si combatte esiste solo nella cultura occidentale. Nel senso che l’idea che noi abbiamo del tempo è un costrutto culturale, che non esiste ‘antropologicamente’ in altre latitudini. Per questo, potrebbe essere interessante se questa ricerca si aprisse a un confronto con l’Oriente e la sua tradizione e se, uscendo da sé, si facesse globale, proponendo un incontro dei tempi diversi che asincronicamente coesistono nel mondo. E chissà cosa potrebbe produrre questa particolare forma di poesia se dopo il tempo volesse indagare ancora più a fondo anche l’altra dimensione fondamentale, quella dello spazio, che oggi diventa sempre più importante.

Detto questo, è indubbio che Davide D’Elia sia riuscito a cogliere uno dei nodi culturalmente fondamentali della nostra epoca, restituendoci il senso profondo del perché l’arte non possa intendersi solo come un passatempo di lusso, ma sia, invece, un vero e proprio habitus, ovvero una forma di relazione, che oggi diventa sempre più indispensabile per riuscire a vivere, e non solo sopravvivere, nel mondo che ci è toccato in sorte.