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panorama

Daniele Franzella

Palermo 1978

Vive e lavora a Palermo

Studio visit di Daniela Bigi

Lo studio di Daniele Franzella ci dice molto della sua storia personale e del suo lavoro. La collocazione in pieno centro, a Palermo, non distante dall’attività artigianale condotta dalla sua famiglia nella zona caotica e verace della Cattedrale, ci parla di un passato vissuto a contatto con la magia e l’operosità di un laboratorio ceramico di alta specializzazione, mentre la sospensione dilatata che si riscontra entrando al suo interno, dove gli strumenti e i materiali della scultura, ma anche gli oggetti e i libri collezionati, accettano il subordine all’attitudine meditativa e alla concentrazione progettuale, palesa la presenza di una immaterialità che domina, di fatto, lo spazio e il tempo.

Pur trattandosi di un operare che si distingue per una naturale felicità in termini di segno, di gesto, di inventiva, di tecnica, di processi o, forse, proprio in virtù di tale felicità (frutto anche della lunga disciplina giovanile nella modellazione dell’argilla), il grosso del lavoro viene impiegato nel problematizzare, nell’interrogare, nel ‘disimparare’, concedendo molto terreno a quel formarsi delle idee che si lega soprattutto a un’indagine irrequieta dentro la Storia.

Franzella si muove nel territorio della scultura. Lo percorre ricercando la possibilità di ampliarne l’orizzonte espressivo, verificandone la tenuta nello scenario sempre più smaterializzato, sempre più tecnologicamente configurato in cui siamo calati. Ricerca nuove soluzioni, nuove processualità che mette in dialogo con le tecniche più tradizionali, più rodate ma, parallelamente, si apre ad altri linguaggi, arriva al sonoro e attraverso il disegno giunge all’animazione. Modella la parola, distorce il discorso, così come modella e distorce qualsiasi altro materiale plasmabile. Dietro la sua narratività accostante c’è un’urgenza demistificante, un’attitudine graffiante.

Passando in rassegna alcuni dei suoi lavori più significativi di questi anni, emerge con evidenza il suo interesse ad approfondire i meccanismi di costruzione retorica del potere, l’oscurità dei suoi intenti, l’arroganza delle sue contraddizioni. Costruisce decostruendo, interpolando, utilizza la sua capacità narrativa per mettere in campo strategie di insubordinazione. E lo fa in modo discreto, depistante. Usa la stessa tecnica di ambiguazione che viene adottata dal pensiero dominante. Per comprendere il suo lavoro dobbiamo andare, infatti, oltre l’appeal dell’evidenza, oltre la seduttività di una forma molto curata. Rispetto alla consuetudine di molta produzione artistica recente, che procede in modo talvolta fin troppo esplicito nello sbandierare accuse politiche e denunce sociali, con esiti spettacolari e soprattutto spesso didascalici, il lavoro ‘ambiguante’ di Franzella conferisce alle opere, all’opposto, una difficoltà di accesso che, lungi dal potersi confondere con un compiaciuto intellettualismo, rappresenta piuttosto la rivendicazione di un tempo e di una modalità differenti – meno standardizzabili, meno manipolabili – per una presa di coscienza del reale.

Ci soffermiamo su alcune sculture recenti. Tra le opere che sta preparando per una personale in programma per l’inverno, c’è un piccolo monumento a Napoleone che poggia, traballante, su un buffo cordolo di angurie. La campagna d’Egitto, i soldati impreparati, l’arsura, la ritirata. La mistificazione. Una piccola scultura dal modellato volutamente un po’ sommario, eppure decisamente molto prezioso, chiede di tornare a riflettere su uno snodo storico cruciale. La distanza temporale e la complessità della contingenza in atto permettono effettivamente l’adozione di un’angolazione desueta. Mentre mi racconta del lungo lavoro svolto qualche anno fa alla Casa del Mutilato di Palermo, in cui si è trovato a confrontarsi con il periodo storico tra le due guerre, mi vengono in mente con prepotenza certe immagini memorabili di Fabio Mauri, lo sguardo tagliente con il quale, mentre restituiva la struttura impeccabile e magnificante dei Ludi Juveniles del ’38, affondava il ricordo e il giudizio dentro una ferita impossibile da suturare.

Il rischio del lavoro di Franzella è che la mimetizzazione degli intenti e la necessità di ambiguazione, che sono tra i suoi punti di forza, possano spingerlo oltre, verso un terreno troppo ermetico, impenetrabile. Ma per quello che ho visto, il rovello quotidiano nel mettere in equilibrio la ricchezza inventiva e le abilità tecniche con la problematizzazione della forma e un pensiero non allineato, e insieme la consapevolezza del doversi districare tra il piacere accostante dell’idea, l’esplorazione semantica dei materiali e l’istanza caustica dei significati, mi fanno pensare che saprà trovare il modo per continuare a fare di quel rischio un punto di forza, gestendo il limite come una forma di disciplina interna al fare.