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panorama

Daniele D’Acquisto

Taranto 1978
Vive e lavora a Fiorenzuola d’Arda
Studio visit di Lorenzo Madaro

Il nuovo studio di Daniele D’Acquisto è un piccolo ambiente volutamente molto asettico: un tavolo, un computer, uno scaffale e poche altre suppellettili. Appare un ufficio, più che uno studio d’artista. D’altronde, è soprattutto uno spazio di progettazione (le opere sono altrove, in un deposito), il luogo in cui prendono forma pensieri e processi produttivi di opere che poi si concretizzano nella loro materialità fattuale quando D’Acquisto interviene nello spazio in cui installa i propri lavori. Si configura già da questi primi dettagli lo spirito che anima la sua ricerca sul fronte della scultura e dell’installazione, ovvero l’importanza dell’aspetto progettuale di un lavoro che intende anzitutto confrontarsi con le maglie proprie del rapporto tra forma e spazio e, ancora, l’importanza della relazione con l’ambiente per cui l’opera è stata pensata. L’artista, in effetti, fa propria una riflessione enunciata già nel 1965 da Carl Andre, che sosteneva «Al posto di scolpire i materiali, io utilizzo i materiali per scolpire lo spazio». Su questo solco opera da oltre un decennio, dopo aver accantonato le prime esperienze figurali. Sono del 2011, difatti, i primi esempi di Strings: profili plastici in legno che si muovevano, sinuosamente, nello spazio, inglobando oggetti (provenienti da un possibile archivio d’affezione, che rintracciava nel suo studio di allora, a Taranto) e relazionandosi dialetticamente con l’architettura di uno spazio di archeologia industriale, la galleria Gagliardi e Domke di Torino. Tra accenti verticali e orizzontali, si strutturavano così densi dialoghi tra oggetti e materie dal tenore diverso – un comodino, un pallone da football e una poltrona – in un allestimento in grado di far transitare i rapporti formali inglobandoli in un univoco sistema di pensiero, fluido e al contempo impenetrabile. Dopodiché, con il ciclo di lavori Forming, l’artista ha tracciato su superfici murali brandelli di altri oggetti, appartenenti a una sua memoria privata, ma del tutto defunzionalizzati. Con una scia di spray ha costituito traiettorie ben visibili sulla verticalità delle superfici, confermando anzitutto un presupposto predominante del suo fare: oggetti, tracce e relazioni si generano grazie a dispositivi in grado di autorganizzarsi. Sono presupposti che trovano una continuità anche nelle recentissime opere, di cui mi parla durante il nostro studio visit, e che di recente sono stati al centro di una nuova personale. La sua ricerca gli ha consentito di esplorare i perimetri della forma e il rapporto tra strutture geometriche (i materiali) e specifici luoghi, espositivi ma anche mentali. L’artista scava così nelle fondamenta del linguaggio per evidenziarne le dinamiche interne. Tra queste, le sculture realizzate riepilogando la struttura di canestri da basket, nelle quali una griglia in cotone può cambiare la propria conformazione anche a seconda della struttura che la regge. La consistenza formale dell’opera varia a seconda della posizione che assume la sezione in ferro rispetto alla superficie su cui è collocata. Il collasso della forma diviene simbolo di un processo autoctono della scultura, che nella sua intima elaborazione ci indica la strada di una trasformazione e quindi di una costante metamorfosi spaziale.

Tra i lavori più recenti, anche alcune opere installative sospese al soffitto per mezzo di supporti in acciaio che sorreggono una serie di bande verticali in poliestere e pvc, posizionate ad altezze variabili, e che nascondono parzialmente strutture solide in ferro verniciato: anche in questo caso – come nei canestri – la scultura di D’Acquisto vive nel suo farsi e nel suo modificarsi in relazione all’ambiente in cui è installata. Cambia pelle, quindi, la sua opera, perché l’atto di costruzione del lavoro genera dinamismo, capacità di adattarsi ai luoghi e alla natura dei contesti. In fondo è un presagio del comportamento dell’uomo e di una sua primordiale attitudine nei confronti dello spazio in cui ha vissuto e in cui ha mosso i passi della propria vita. Non c’è però antropologia nel lavoro dell’artista e neanche un afflato esplicitamente politico. Da sempre, infatti, il suo lavoro nel suo stesso farsi indaga l’arte, tenendo fuori ogni riferimento, pertanto il “rapporto” – per dirla con Longhi – che si consuma è anzitutto con altre opere d’arte.