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panorama

Cleo Fariselli

Cesenatico 1982

Vive e lavora a Torino

studio visit di Alessandra Franetovich

Al diploma in Pittura conseguito all’Accademia di Brera, Fariselli ha affiancato una serie di workshop presso istituzioni improntate all’educazione non formale nel campo dell’arte contemporanea, quali la Fondazione Antonio Ratti di Como e la frequentazione ai laboratori della Fondazione Spinola Banna per l’arte a Torino, città dove attualmente vive.

Il suo lavoro fa pensare alle scienze diagonali di Roger Caillois in quanto interseca diversi registri e discipline senza forzare i processi, ma assecondando quelle che possono essere definite energie inerenti alle cose. Una certa polifonia post-mediale e multi-direzionale è associata all’elemento metamorfico, alla mitologia e al senso del fantastico che, anche quando è costretto dentro forme chiuse e riconoscibili, genera un senso di stupore involontario, non totalmente calcolabile e, in virtù di questo, potente e straniante (Caillois, Nel cuore del fantastico). Le forme delle sue opere scultoree sono talvolta antropomorfe, come nella serie di busti Gran Papa (2016) i cui volti umani sono riconoscibili ma inafferrabili poiché realizzati in negativo, estraendo ciecamente materiale da un blocco di argilla. In altri casi si tratta di osservare concatenazioni fluide di materia da cui emergono elementi familiari e anatomici: in Untitled (Ear) (2018), i colori si immergono l’uno nell’altro, sfumandosi, creano iridescenze (che siano reali o immaginarie poco importa) suggerendo una percezione del lavoro come una porta socchiusa verso un percorso multisensoriale.

Muovendosi tra realtà e finzione, l’immaginario dell’artista si inserisce in un filone di stringente attualità che trae linfa dal pensiero magico-critico e dal tema del re-incantamento; tra gli esempi, la recente edizione della Biennale di Venezia, Il latte dei sogni, curata da Cecilia Alemani, ma ben anticipata da teorie femministe sul post-umano, ecologiste, anti-patriarcali, tra cui quelle di Donna Haraway e Silvia Federici. Da questo filone trae il tema della relazione tra diverse entità (dove la natura è organico e minerale, fenomeno atmosferico, mutazione continua) e la ricerca della dimensione archetipale, che però tratta con transdisciplinarietà e muovendosi tra diversi media, includendo performance, teatro, sonoro, visuale e testuale. Le sue opere d’arte sono interpretabili come arcani attivatori di esperienze fisiche, sensoriali, mentali, in grado di porre l’osservatore al centro dell’operazione artistica.

L’ultima opera è Your Storm Our Dew, vincitrice dell’Italian Council (2021) e presentata da Almanac, Torino. Il video affronta il senso di «emergenza dilatata» che la società umana esperisce vivendo nel mezzo di una pandemia e della crisi climatica. Un’ambientazione oscura, in stile teatro nero, apre la scena condotta da una voce over – a metà tra il poetico favolistico e il documentario d’annata – intenta a calare l’osservatore in una processione di “meraviglie”: le nuove forme di vita organica (i cui costumi abitano ora lo studio dell’artista) generatesi da un rinnovato stato delle cose, come in un nuovo Big Bang. «When so many shadows overlap and their contours blur into one another, what happens within this vast dark space? what if new disturbing figures are born from these blended silhouettes?». Simili premesse muovevano la mostra personale Dancing: una palla da discoteca che ruota su sé stessa riflettendo la luce di un faretto. Oltre alla mancanza di un’atmosfera da locale notturno, a caratterizzare il tutto è la forma irregolare della sfera specchiante, costituita da un agglomerato di frammenti rotti, che immerge il fruitore in un ambiente dissonante, a tratti allarmante ma tutto sommato conciliante. Come sostenuto dall’artista, l’abitudine al disastro sta diventando cifra comune e un’opportunità per evolversi.

Alcune ricerche che si strutturano attorno al filone del pensiero magico-critico possono apparire come esiti inconsapevoli di trattazioni complesse, dai risultati atemporali, escapisti e naif soprattutto quando, cercando di controvertire la normatività che soggiace al pensiero umano, l’artista non offre elaborazioni verso nuove futurologie, ma al contrario dimostra che queste non appartengono alla sua poetica tesa, invece, verso una via immaginifica. Ciò può risultare problematico da accettare perché disattende una presa diretta sulla Storia, cui si appellano invece ricerche coeve apertamente femministe e politicizzate. Così si interpreta la scelta di Fariselli di lasciare zone d’ombra, spazi aperti dove intromettersi e in cui è l’osservatore a trovare da sé la contestualizzazione del lavoro entro una cornice storica, sociale, politica fortemente complessa come quella attuale, trasformando opere come Your Storm Our Dew e Dancing in un’espressione di allarme.

Affrontando la metamorfosi delle forme come modello di trasfigurazione dell’umanità in entità altre, il suo lavoro mette in luce un punto essenziale, ossia il bisogno di credere all’esistenza di una dimensione non materiale e quindi alla volontà di abbandonarvisi. In questo immergersi nell’altro e nell’altrove risiede una carica politica quasi invisibile ma altrettanto sovversiva che sorvola l’aderenza alle istanze concrete proponendosi invece di costruire un immaginario di conoscenza trans-storico.

Foto Silvia Mangosio