Venezia 1989
Vive e lavora a Venezia
Studio Visit di Elena Forin
4 novembre 2023
Ho scelto Chiara Enzo perché ho visto il suo lavoro in due occasioni: la prima anni fa, quando stavo cercando di capire le ragioni che per tanto tempo mi avevano tenuta lontana dalla pittura; la seconda a Venezia, alla Biennale di Cecilia Alemani, dove mi sono ricordata di quel primo veloce sguardo che mi aveva colpita ma che non mi aveva fatto entrare pienamente nelle sue opere, come invece accade oggi. Non ho letto il testo del precedente studio visit di Stefano Coletto prima di andarla a trovare, non certo per mancanza di stima per l’autore, ma per non essere influenzata da altri punti di vista.
In un momento in cui la pittura e il disegno hanno grande spazio, alcune ricerche intendono l’immagine come un universo da restituire in maniera precisa. Enzo, tuttavia, non ha per obiettivo la resa minuziosa dei soggetti, che sono colti attraverso uno sguardo ravvicinato non per dovere di verità, quanto per narrare episodi ─ marginali, enigmatici, quotidiani, dolorosi ─ di cui non si conoscono le cause e le proporzioni, e di cui solo parzialmente è possibile misurare l’impatto. In questa prospettiva, ogni sua opera è il frammento di un tempo che si è compiuto, e di cui viene condiviso un solo dettaglio, a cui è affidato il racconto poetico di una storia.
Anche per questo i suoi lavori hanno bisogno di grande respiro: la densità non è data dalla sola ricchezza visiva, ma anche dal peso di tutto ciò che non è detto, ma di cui l’opera comunque parla. La sua pratica prevede l’impiego di materiali diversi che vengono scelti per creare sfide inedite nella definizione e nella resa delle immagini: al di là dei soggetti rappresentati e della posizione concettuale, la ricerca di Enzo riguarda il linguaggio stesso della rappresentazione e indaga la natura più profonda dell’identità pittorica. Tempere a guazzo, acquerelli, pastelli e matite sono messi alla prova su superfici dalla diversa capacità assorbente e che impongono situazioni di partenza ostili per l’emergere dell’immagine, che si fa strada attraverso stesure progressive nate dalla risoluzione graduale di problemi formali e di resa.
Al momento del nostro incontro molti dei suoi lavori sono dal corniciaio per la prossima personale a Milano da Zero… che si terrà a fine anno. Sul tavolo c’è un’opera a cui si sta dedicando, mentre alla parete sono appese alcune ‘basi’ che serviranno in futuro: le carte che utilizza sono di grana, tipologia, peso, composizione e colore diversi, e vengono montate su tavole di legno in modo che la stesura avvenga su superfici ben aderenti al supporto. La scelta dei soggetti è precisa: molte delle sue opere ritraggono frammenti di pelle e porzioni di corpi su cui compaiono segni e imperfezioni. L’epidermide è, del resto, la zona limite dell’esperienza, il confine del corpo, del mondo sensoriale e dell’identità fisica: scendere oltre la pelle cercando un livello di profondità ulteriore è un percorso possibile solo in termini metaforici ed è quindi il termine ultimo di un processo di conoscenza.
Una critica che le può essere mossa sta nella ripetizione dei soggetti e delle tematiche. Guardando la sua produzione di anno in anno, pur essendo evidente la continuità, emerge il valore di un profondo cambiamento: la ricerca del concetto di differenza ha compiuto un percorso piuttosto sorprendente nell’avvicinare stati e temperature e nel generare un volume sempre più ampio intorno al quadro. Per il mercato e il sistema di oggi, la lentezza di un procedere così meditato (che si traduce in una produzione controllata di opere) e la scelta delle piccole dimensioni (che rendono complessa l’articolazione del valore attraverso coefficienti numerici) sono elementi di forte sfida. Per chi scrive, tuttavia, il valore di questa indagine è radicata anche in tali aspetti, che non pertengono alle sole logiche della vendita o dei ritmi espositivi, ma alla concezione stessa dell’opera, della sua aura, e della sua identità.
Le ragioni della potenza espressiva di Chiara Enzo stanno nella monumentalità generata da una scala tanto ridotta eppure così intensa. Il suo rigore ricorda, inoltre, quello di certi astrattisti che hanno sperimentato uguaglianza e ripetizione scandagliando il colore e il segno, la luce e il tempo. Quest’ultimo valore è però l’unico legame con quelle indagini, che a livello formale hanno ben poco da spartire con la sua posizione filosofica di conoscenza del mondo attraverso la condivisione di frammenti precisi, le cui carenze e lacune sono colmate dall’opera e dal vuoto che le è intorno.