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panorama

Chiara Bettazzi

Prato 1977

Vive e lavora a Prato

Studio visit di Angel Moya Garcia

Chiara Bettazzi apre il suo studio SC17 nel 2005, riattivando l’area industriale dell’ex Lanificio Bini di via Genova a Prato, per trasformarla in uno spazio di ricerca sul territorio con cui attua una serie d’interventi legati alla creazione di progetti condivisi. Sulla stessa falsariga, dal 2015 crea il laboratorio TAI – Tuscan Art Industry e, dal 2016, coordina il laboratorio costantemente attivo di Industrial Heritage Map e inizia l’intervento ancora in progress Orto in Fabbrica.

La sua ricerca, declinata in installazioni, fotografie e progetti condivisi, è volta a innescare processi di sensibilizzazione, riappropriazione e rigenerazione di spazi in abbandono, dedicandosi costantemente alla mappatura e all’archiviazione del patrimonio industriale della città di Prato. Parallelamente, il suo lavoro è legato a una riflessione sull’oggetto d’uso quotidiano, rielaborato e rifunzionalizzato attraverso una pratica che viene, da una parte, orientata verso “l’usa e getta” e, dall’altra, all’accumulo compulsivo di oggetti di dubbia utilità. L’oggetto viene inteso come una materia con cui disegnare lo spazio, privandolo del suo eventuale valore simbolico, per trasformarlo e ricostruirlo costantemente. In questo modo vediamo come tutte le sue installazioni possano essere interpretate come un unico lungo lavoro in progress che si sviluppa, si adatta, si declina o si concretizza in funzione di un determinato spazio, riutilizzando più volte gli stessi oggetti fino a quando questi non diventano polvere, mentre la fotografia, che fino a poco tempo fa veniva usata fondamentalmente come elemento preparatorio per le installazioni, sta diventando non solo elemento a sé stante, ma predominante nella formalizzazione.

Lo spostamento di un oggetto, la modifica del contesto o un incidente di percorso si delineano come un gesto, come un movimento, come una fessura che incide il quotidiano e apre verso una nuova percezione della realtà. La raccolta, la collezione, l’archiviazione di Chiara Bettazzi, inseriscono la sua ricerca all’interno di una serie di pratiche che tentano di sistematizzare il mondo quotidiano non tanto per trovare un ordine dentro il caos, quanto per aprire nuovi orizzonti di interpretazione, nuove suggestioni, nuove possibilità.

Attualmente è concentrata sulla mostra Soggiorno, promossa dall’associazione ChorAsis – Lo spazio della visione nella Villa Rospigliosi di Prato, in cui il tempo definito della fotografia e la permanenza più ampia, inerente a questo linguaggio, si contrappone al carattere effimero delle installazioni. In questo caso, la scelta è stata, per la prima volta, quella di non portare nessuno degli oggetti della sua collezione personale, per fotografare gli elementi trovati nel contesto ospitante. Lavorando con cose che non le appartengono e inserendole all’interno di set fotografici, di cui mostra anche il dietro le quinte, la mostra apre una fase di transizione del suo lavoro, anche se emerge la perfetta continuità con le ricerche precedenti.

L’unica criticità che potrebbe emergere dal suo lavoro è l’assoluto rifiuto di un apparato concettuale di partenza, nonostante esso sia stato più volte ravvisato nei testi di Didi-Huberman o di Baudrillard per quanto riguarda il sistema degli oggetti, la sparizione o la smaterializzazione dell’arte. Ciò potrebbe portare a una lettura meramente estetica della sua opera, considerando l’attenzione posta nella presentazione di ogni singolo intervento, o a un’interpretazione in chiave ecologica. In realtà, nel caso di Chiara Bettazzi, non ci sono concetti, mode o filoni da seguire o rispettare, non ci sono letture o interpretazioni imposte o suggerite. C’è solo l’atavica urgenza di modellare, ridisegnare, ricontestualizzare o riconfigurare attraverso oggetti personali o presi in prestito da un determinato spazio. In quest’ottica emerge la coerenza di una ricerca in cui, a prescindere della declinazione formale o dal linguaggio scelto, ogni gesto diventa un impulso, un istinto e un legame con gli oggetti, con gli elementi di arredo, con lo spazio, per dare, evocare o concretizzare una nuova visione. Un’attitudine naturale, una necessità che è parte ineludibile del suo quotidiano e che prescinde da ogni analisi cerebrale.