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panorama

Carolina Raquel Antich

Rosario (Argentina) 1970
Vive e lavora a Venezia
Studio visit di Paola Nicolin

Lo studio di Carolina Raquel Antich è diviso dalla sua abitazione da una porta sottile che più che separare le due soglie di azione funziona come una pausa tra tempi diversi. Il tempo dello studio, luminoso e denso, è un tempo sospeso, di concentrazione, dove si leggono in ogni angolo tracce di un discorso che diventa pittura. Siamo in un ex birrificio sull’isola della Giudecca, una striscia di ortaglia compresa tra Fondamenta di San Biagio e Rio delle Convertite; qui la birra Santa Chiara, poi birra Venezia poi ancora birra Pedavena Dreher si produceva sin dalla metà del XIX secolo fino all’ultima distilleria Pizzolotto che termina l’attività e riconverte gli spazi in studi d’artista, gallerie (Galleria Michela Rizzo), organizzazioni d’arte no-profit (Spazio Punch). «La pittura non è solo un tratto su una tela ma è parte di un intreccio molto più ampio, che si va costruendo poco a poco». Il problema della pittura, la sua preoccupazione in senso ampio, mi appare al centro della pratica dell’artista, che si muove tra i barattoli di colore, i pennelli, le tele appoggiate al muro, le mensole con le porcellane, i disegni e gli spartiti di musica di sua figlia sul leggio del pianoforte. «Ciò che cambia è l’intenzione e le problematiche che derivano dall’azione stessa del dipingere». Questa apertura verso il dipingere come azione la si vede passo dopo passo, seguendo la voce pacata di chi parla del proprio lavoro senza definirne il mistero. I suoi dipinti sono minuziosi, dettagliati e insieme liquidi, sospesi. Figure esili con la dignità dei giganti. Chiedono silenzio, concentrazione, contemplazione per rilasciare intensità e storie universali. Come quella del grande dipinto che mi colpisce entrando a sinistra, Le ragazze della barca (El bote de las chicas), del 2020: solo la notte in mezzo al mare riesce a restituirti il senso del buio e qui, nel buio, si staglia su una barca sottile come una foglia un gruppo di ragazze che galleggiano sul delta del fiume Paranà. È la storia di questa cooperativa femminile che si coalizza per ottenere maggiori diritti, tra cui quello di poter acquistare le proprie imbarcazioni e non dover continuare a lavorare per altri in eterno. Gruppi di ragazze in barca, ritratti singoli che si stagliano da fondi scuri, ragazzi che si abbarbicano ad alberi immersi in una foresta pluviali, e ancora il fiume che scorre e del quale l’artista parla come «la base e il supporto, il luogo sul quale possono accadere delle cose». Questo vocabolario fortemente poetico nasce entro un percorso biografico che ha visto l’artista crescere nella natia Argentina per poi spostarsi, alla fine degli anni Novanta, in Italia, prima in Umbria e poco dopo a Venezia. Antich, infatti, studia nella città di Fontana a Rosario, nel 1994 vince una borsa di perfezionamento per giovani artisti diretta da Guillermo Kuitca a Buenos Aires e lì ricomincia da capo a pensare. Poi con il compagno Augusto Maurandi, oggi direttore dello Spazio Punch nei medesimi spazi dell’ex birrificio, si muove a Venezia, dove forse tutto si ferma e riparte ogni volta. Il racconto del viaggio mi porta in Giappone, cultura di cui l’artista sente profondamente il fascino e, a partire da una sua prima mostra a Tokyo nel 2007, instaura con questo immaginario, dove assente è la griglia della prospettiva, una relazione professionale che la vedrà realizzare anche le copertine dei romanzi di Banana Yoshimoto, pubblicati da Feltrinelli in Italia. Dalla tela dipinta ha origine la scultura – una serie di porcellane dedicate a lotte amorose, corpi anche qui sottili che sprizzano tanta luce quanto dinamismo: sembrano come i disegni del medesimo soggetto disposti sul tavolo, una sequenza di azioni, di nuovo a cavallo tra le tecniche, che liberano l’artista dalle sue ossessioni.