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panorama

Carmelo Nicotra

Agrigento 1983

Vive e lavora a Favara

Studio visit di Daniela Bigi

Carmelo Nicotra appartiene a quella generazione di artisti siciliani che abbastanza presto si è trovata di fronte all’opzione del trasferirsi o del rimanere. Come altri giovani in questi anni, ha scelto di rimanere. Si tratta infatti di una generazione che ha compreso definitivamente che per rispondere alla marginalizzazione prodotta da un usurato, eppure persistente, sistema di valori basato su centro e periferia, vanno compiute scelte consapevoli e soprattutto inequivocabili, giocando non solo la carta della resistenza ma quella ancora più faticosa della trasformazione, lavorando nell’ottica della rete, della mutualità e, soprattutto, della ricerca condivisa di un’origine e di una meta.

Dopo lo studio in accademia, a Palermo, l’artista ha deciso di tornare a vivere nella sua cittadina di origine, Favara, nella chiaroscurata provincia agrigentina, della quale ha fatto il fulcro di un massiccio studio antropologico che è andato di pari passo con un progressivo affondo nella propria storia personale, intima. Uno studio condotto nel tentativo di svelare, a sé stesso prima che agli altri, la radice e la natura dei fenomeni sociali e la loro traduzione in forme. Forme dell’agire, forme del credere, forme dell’abitare. Vivere in una piccola comunità rende più accessibile la leggibilità di quelle forme, ma rende anche più offensivo, più traumatizzante, l’abuso delle stesse come esercizio del potere.

Antropologia, architettura, urbanistica sono gli ambiti in cui si muove la sua ricerca, che trova i suoi esiti migliori nella scultura, nell’installazione, nel collage, in un complesso equilibrio tra la struttura concettuale e un personale dispiegamento di soluzioni inventive che spaziano tra forme classiche introiettate e depistanti elementi del kitsch abusivista, tra volumi geometrici puri e vezzi arredativi piccolo borghesi, tra materiali patinati, sgrammaticature costruttive e atmosfere rétro.

La biblioteca (in primis quella di Favara), la piazza, il privato domestico, i vuoti urbani, sono i luoghi in cui Nicotra rintraccia le sue fonti, che sono di natura documentale, tecnica addirittura (piani regolatori, anagrafe dei defunti, regolamenti edilizi, delibere di demolizione) ma anche di matrice orale (centinaia di racconti di familiari oltre che di anziane e anziani) o memoriale (lettere, fotografie, oggetti) e talvolta letteraria (poesia dialettale, racconti popolari). Un poderoso flusso di testimonianze e di emozioni che evidenzia come al centro del suo lavoro ci sia la ferita della perdita, la consapevolezza che smarrire la comprensione e la traccia del passato porti con sé un danno irrecuperabile.

Da qui la sua assunzione di responsabilità rispetto alla necessità del conservare, strappando all’oblio non solo frammenti orali e scritti, ma un intero mondo di forme, di elementi di mobilio, reperti edilizi, fino ai lacerti di intonaco di quelle abitazioni che ancora oggi si continua a demolire per fare spazio alla speculazione. E non si tratta di preservare la Storia monumentale, autoriale, che in realtà un po’ ovunque sta ritrovando la propria centralità e la propria difesa, ma proprio quell’ordinario accumularsi di storie individuali che qualcuno continua a voler scambiare per materia inerte, interscambiabile, inutilmente ingombrante in quanto apparentemente senza qualità. È su questo passaggio che Nicotra incardina il suo lavoro, ed è da questa prospettiva di militanza che bisogna leggerlo nel contesto dell’arte attuale.

Una militanza che, oltre che con la conservazione e lo studio, si esprime soprattutto dentro una pratica di riprogettazione che parte dai segni, i caratteri, i fallimenti e le ambizioni del proprio territorio, al di là degli stereotipi con i quali si continua a immobilizzare la Sicilia.

Mentre riflettiamo insieme su idee e progetti legati a residenze in cantiere per i prossimi mesi, viene fuori che questo modo di lavorare basato su un’iniziale ricerca d’archivio, la successiva costruzione di una rete partecipativa per condividere le fonti e la conseguente individuazione di una o più “forme-guida” che coagulino gli esiti oggettuali e simbolici dell’indagine, se ripetuto in contesti differenti rischia di trasformarsi in un meccanismo che, seppure fruttuoso, potrebbe per certi versi standardizzarsi, automatizzarsi, diventando un modello operativo applicabile in serie. C’è bisogno allora di tornare a scavare partendo da sé per alimentare quel pensiero profondo che possa davvero permettere di arrivare all’altro.

La forza del lavoro di Nicotra sta nella capacità di alimentare questo scavo, che mentre nutre il suo enigmatico mondo di forme essenziali dà corpo parallelamente a un processo trasformativo che avoca all’estetica i contenuti dell’etica.