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panorama

Camilla Salvatore

Torre del Greco 1993

Vive e lavora a Napoli

Studio visit di Alessandra Troncone

Incontro Camilla Salvatore nella sua casa-studio al Vomero, quartiere dove si è recentemente trasferita a seguito del rientro da Milano. Pochi elementi (il PC, qualche libro, appunti sparsi) lasciano intendere più un luogo d’appoggio che non un vero e proprio spazio di lavoro. D’altra parte, guardando alla sua pratica, è facile intuire che ricerca e produzione avvengono al di fuori delle quattro mura e in stretta relazione con il territorio d’indagine. Cresciuta nell’area vesuviana, Salvatore ha studiato a Milano alla NABA e ha poi conseguito un master in Film d’artista e immagine in movimento alla Goldsmiths University a Londra. Nel 2021 ha preso parte alla mostra collettiva There Is No Time to Enjoy the Sun alla Fondazione Morra Greco di Napoli, che si proponeva una ricognizione delle ricerche degli artisti campani nati tra gli anni Ottanta e Novanta. È in questo contesto che il suo nome ha iniziato a circolare nell’ambito più strettamente legato alle arti visive, dopo la partecipazione a festival internazionali legati primariamente alla produzione filmica.

Il lavoro di Camilla Salvatore è infatti incentrato sull’immagine in movimento con una particolare propensione nei confronti del cinema del reale e di un approccio documentaristico: tra i suoi primi film figura Un inferno (2016), narrazione che ruota attorno a un centro di tatuaggi alla periferia di Napoli, luogo di osservazione privilegiato per indagare la relazione tra sottoculture e sobborghi. Il periodo di formazione a Londra è stato, invece, il bacino creativo per Permanent Exile (2020), film che parte da un pretesto documentario – la storia di una ragazza che vive sotto protezione – per sviscerare un universo intimo dove la voce della protagonista si fa strada in interni domestici immobili, fino a sfaldarsi nell’astrazione di un’immagine diventata mentale. Ancora, 20 settembre (2018 – in corso) è una trilogia che elegge il ricordo quale filtro per guardare il tempo presente.

Da questi lavori emerge una direzione di ricerca nella quale temi all’ordine del giorno – come, per esempio, la fluidità di genere in territori complessi dal punto di vista sociale – sono affrontati con uno sguardo mai troppo diretto ma sempre laterale, facendosi così discorso più ampio sulla mutevolezza dell’identità e sulle stigmatizzazioni che ne frenano la libera espressione. Si percepisce in queste opere una componente intima e biografica che, seppur mai esplicitamente dichiarata, dà forza all’indagine, anche grazie al lavoro di scrittura che si lega indissolubilmente a quello di regia.

Al momento, Camilla Salvatore sta lavorando a un documentario sulle comunità queer alla periferia sudorientale di Napoli, in un processo di co-scrittura con le persone coinvolte. È inoltre in produzione il terzo capitolo della trilogia 20 settembre e un progetto per un’installazione audio-video dal titolo Seasonal Beast, concepito come un dialogo tra due personaggi femminili che alterna brani parlati e video girati in presa diretta, per un ‘botta e risposta’ che si avvale di testo e immagine.

Partendo da un linguaggio cinematografico, risulta in via di sviluppo e in una fase ancora acerba una possibile declinazione spaziale del lavoro filmico, che ha già visto alcuni tentativi di dialogo con una dimensione più oggettuale, tra cui la presentazione del film Permanent Exile presso il project space Massimo a Milano nel 2021, con sedute/sculture appositamente realizzate per l’occasione. Se lo sviluppo della ricerca confermerà la volontà di operare sul confine tra cinema e arti visive con l’obiettivo di indagarne le potenzialità, questo aspetto potrebbe richiedere un’esplorazione più puntuale.

Il dividersi tra due fronti colloca Camilla Salvatore in una posizione dalla quale, per ammissione della stessa artista, l’arte visiva garantisce un’estemporaneità di approccio all’immagine in movimento e dunque una sperimentazione che modi e tempi del cinema possono limitare, pur tenendo saldi i temi che si ritrovano anche nell’utilizzo di mezzi espressivi differenti. La traduzione di alcuni aspetti della vita privata in una narrazione che tuttavia si sgancia dalla pura esperienza personale rende il lavoro soggetto a nuove possibili linee di sviluppo e si presta a farsi racconto di quel senso di perenne inadeguatezza che sembra attanagliare le ultime generazioni.

Foto Gesualdo Lanza