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panorama

Beatrice Marchi

Gallarate 1986

Vive e lavora a Berlino

Studio visit di Roberta Tenconi

Beatrice Marchi si è formata all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e alla Hochschule für Bildende Künste di Amburgo (HFBK) e la sua pratica spazia con disinvoltura dal disegno e dalla pittura all’animazione, al video, alla scultura fino alla performance, azioni in cui spesso vengono coinvolte altre persone. Dal 2018 vive a Berlino e da alcuni mesi ha uno studio a Kreuzberg, nei pressi del Kunstraum Bethanien, da cui gode una vista molto bella. Quattro piani a piedi senza ascensore, più una stretta scala a chiocciola, non esattamente comodo da raggiungere, soprattutto se serve spostare opere o grandi tele. Ma una volta arrivati lì si entra in un’altra dimensione. E forse non è un caso che per raggiungere il luogo di lavoro Beatrice Marchi abbia scelto di compiere ogni giorno questo percorso, che è fisico quanto mentale. Tutta la sua ricerca si sviluppa, d’altra parte, a partire da un intenso processo di introspezione che riguarda non solo sé stessa, ma anche la sua famiglia e le persone a lei più vicine. Il suo approccio, che parte dall’individuo e che si potrebbe definire soggettivo, diventa però un mezzo, una lente, con cui interrogarsi su questioni urgenti e collettive, quali il ruolo femminile, gli stereotipi di genere, la frustrazione del fallimento o il conflitto tra generazioni.

Beatrice ha da poco realizzato un nuovo progetto per la collettiva Role Play allo spazio Osservatorio della Fondazione Prada, in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, una mostra che indaga i processi attorno alla creazione di identità alternative e nella quale ha presentato il video When Katie Fox Met Evil Turtle (2022) e una performance collegata. Al momento, sta lavorando a una personale che aprirà a giugno nella galleria Federico Vavassori, il cui contenuto è ancora riservato, ma che vedrà le pareti della galleria trasformate in una sorta di schermo da computer, uno sfondo su cui troveranno spazio soggetti differenti, quasi uno story board in cui prenderanno vita i personaggi, alter ego dell’artista, che da alcuni anni sono protagonisti delle sue opere: da Susy Culinski a Loredana la cameriera, alla Tartaruga schiacciata. Chi ha familiarità con il suo lavoro riconoscerà gli iconici caratteri della saga familiare messa in scena da Beatrice Marchi, una sorta di romanzo sui generis che si evolve attraverso varie maschere e che rappresentano l’esigenza di raccontare diversi comportamenti o stati psicologici. Ciascuna opera, che sia un dipinto, una performance o un video, è un episodio di questo ipotetico romanzo e si lega a momenti e vicende della vita di Beatrice Marchi, dall’ossessione di trovare amicizie femminili (fase ad esempio che ha generato Susy Culinski) alla crisi come artista per la responsabilità di raccontare la fragilità altrui (crisi da cui è nato il personaggio del Fotografo), o ancora, al fallimento professionale (riflesso nella figura di Loredana). Ed è proprio il forte radicamento a emozioni vissute in prima persona che genera opere aperte a un discorso esistenziale più ampio e in cui è possibile riconoscersi. Alla domanda diretta sull’importanza o meno di conoscere i tratti e il trascorso di ciascun personaggio per poter comprendere il lavoro, e alla possibile difficoltà di un pubblico meno familiare con i passaggi precedenti, Beatrice è risoluta nell’affermare l’autonomia di ciascun momento: non serve chiarire ogni volta la storia e la genealogia delle identità che assume e che rappresenta nel lavoro, «se riappaiono certi personaggi non è per rassicurare il pubblico ma per lavorare su un aspetto psicologico». Si tratta di “medium”, maschere che assume per raccontare un determinato sentimento e le contraddizioni dell’esistenza, e per questo non serve seguire una narrazione lineare, ciascuna delle figure diventa infatti un possibile commento su stereotipi o sentimenti. Se pensiamo ad esempio a Loredana – il personaggio della cameriera che al posto delle mani ha delle chele, che le rendono quindi impossibile svolgere il suo lavoro – l’essere al corrente o meno delle altre occasioni in cui ha fatto la sua apparizione è poco rilevante, piuttosto è un mezzo per raccontare una condizione di crisi e vulnerabilità rispetto alle aspettative della società, uno stato che non riguarda solamente Loredana o l’artista. E questo passaggio dal personale al collettivo funziona proprio grazie all’ironia con cui Beatrice Marchi investe in primis sé stessa, restituendo un ritratto pungente della società in cui viviamo.