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panorama

Barbara Bonfilio

Belvedere Marittimo 1969
Vive e lavora a Sant’Agata di Esaro e a Firenze
Studi visit di Marcello Francolini

Penetrando nel Pollino, tra boschi meticci di lembi e antichi arroccamenti, si giunge a Sant’Agata di Esaro, in cima a una valle sul cui letto scorre l’omonimo fiume. È così dunque che a entrare nello studio di Barbara Bonfilio sembra di lasciare la realtà per un attimo sospesa fuori la porta. Uno studio che definirei subito extra moenia, nel senso di porsi fuori dall’epicentro dei materiali contemporanei su cui viene improntata una certa ricerca odierna. Tutto, qui, è concreato da ciò che resta di recondito di una pittura coltivata come un mestiere antico, quasi in analogia con un certo monachesimo basiliano le cui tracce mi restano ancora evidenti lungo il tragitto che mi ha condotto in questo luogo. Figure di donne o personificazioni di concetti, sono tutte riunite quasi in una muta assemblea. È un antro di muse, tutte filiformi addensandosi insieme ai loro fondi dentro ogni quadro, che, come realtà autonoma, sussiste contemporaneamente ai mei occhi. A posare lo sguardo singolarmente su ognuna di esse, ciò che colpisce è un segno lampante, una linea di contorno decisa e tirata d’un tratto che si pone come il prerequisito logico affinché affiori tanto la figura quanto lo sfondo. In questo senso è più come un’incisione a pennello, una pittura grafica, scarnificata fino al livello del disegno, eppure per così dire più immateriale della pittura stessa, quasi iconica, per come intendevano quei bizantini, la presentazione di un corpo direttamente spiritualizzato. Che corpi sono questi di Donna con i fiori blu (2022), Donna con i fiori viola (2022), Donna con i fiori rossi (2022). Ognuno dei visi, come uno specchio, riflette i colori dei petali, come se entrambi stessero denotando dei generali moti dell’animo, le cui relazioni si estendono ulteriormente agli attributi animali del capriolo, del cigno e dell’elefante secondo antiche zoomorfie cosmiche. Se tutto è esperito come una complessa mappa di pensieri disseminati sulla bidimensionalità della tela, allora come in ogni linguaggio rabdomantico, criptico o simbolico ogni particolare interviene ad aumentare i significati, mai però del tutto definiti, ma continuamente rivedibili all’occhio che li visita. D’altronde la stessa artista conferma alcuni suoi interessi verso la psicologia archetipa di James Hillman, che portando avanti alcune posizioni avanzate negli anni Trenta da Jung, definisce gli archetipi come immagini assiomatiche a cui ritorniamo continuamente per riformularci le nostre teorie sulla vita e sul mondo. È così che, attraverso queste figure-archetipe, la Bonfilio cerca di riconnetterci a quelle “ombre universali” dell’inconscio collettivo, ospitate all’interno di un giardino, che ridonda in ogni lavoro di quest’ultimo biennio, metafora del luogo proprio della mente in cui rimodulare, rivedere e riformulare la nostra esperienza. Da questa gestazione vengono fuori opere come Il sogno sacro (2020) o Alter ego (2021), o ancora un Autoritratto in veste di Fida (2021) o Il sole rosa (2022) in cui tutto sembra filtrare da una sottile azione concettuale del ritrarsi e del protrarsi. Distanziazione e avvicinamento, che serve così alla Bonfilio per raffigurare qualcuno come qualcosa e sé stessa come altro o qualcosa. Possiamo così dire che l’attitudine al ritratto di questa singolare ricerca si evidenzia, infine, come occasione di fare della soggettività uno spazio non-oggettivo. Su questa strada sarebbe doveroso per l’artista scandagliare più vie e variare maggiormente la sua ricerca, che resistendo entro una ‘pittura pura’, deve lasciar squillare le policromie espressive che sono tutte potenzialmente covate nei suoi toni. In conclusione, è questa di Barbara Bonfilio una ricerca di tipo simbolico che assume le figure nella loro qualità di archetipo. Le pose, gli attributi, i particolari del paesaggio, ogni elemento si dispone alla relazione con l’altro, ma non v’è una consequenzialità narrativa, tutto è disposto liberamente per essere ogni volta ridefinito.

Foto Barbara Maria Seti