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panorama

Arianna Marcolin

Schio 1998
Vive e lavora a Schio
Studio visit di Stefano Coletto
5 aprile 2024

Con Arianna Marcolin ci vediamo in video. Dallo schermo si scorge una stanza, uno dei suoi due studi, quello per l’inverno, più piccolo. In estate, per le tele più grandi può sfruttare un capannone industriale. Laureata in Pittura e Grafica d’arte all’Accademia di Venezia, Arianna partecipa ad alcune iniziative in forma di collettive di giovani artisti quali i workshop dell’Atelier di Carlo Di Raco – Martino Scavezzon e alle mostre della Fondazione Bevilacqua La Masa. Intervalla progetti editoriali, pubblicazioni e stampe artistiche. Lei non lo nasconde: «la mia famiglia possiede una tipografia… ho sempre vissuto tra i libri con immagini e testi». Potrebbe nascere da qui, dalla pratica legata al libro, ovvero la solitudine delle pagine, la ricerca del silenzio, lo spazio chiuso dove si dimora, quella sua presenza timida ma attenta, quella laconicità che la porta a pesare ogni parola. Tra i riferimenti della sua generazione cita Francesco Cima, Silvia Faresin, Marta Naturale; una direzione particolare nell’Atelier F, intimista, lirica, se possiamo sintetizzare, senza semplificare troppo. Pittura figurativa, quindi; oggetti tremuli, nudi, in spazi vuoti caratterizzati da atmosfere ovattate di chiaroscuro; tavole apparecchiate, tazze, piatti, frutti e poi titoli evocative, Mai più, Euforia, Effusioni. Testi dal registro poetico accompagnano il suo lavoro. È molto raro trovare una ragazza così giovane con questa passione: «Nasce da un professore di Pittura che leggeva molto, ricordo Wisława Szymborska, ad esempio». Aggiungiamo Valerio Magrelli, Aida Airaghi, Andrea Malagamba, Davide Gallo.

Un giorno mi chiese un confronto sul portfolio «Cosa pensi del mio lavoro?». Mi stupì molto, perché avevo l’impressione di sembrare lontano dall’apprezzare il suo stile. Forse cercavi una critica. Ti ricordi? Ti dissi che apprezzavo molto le stanze vuote, quando il vuoto diviene il tuo oggetto; le porte socchiuse di uno spazio, le finestre che amplificano luci e ombre: i Portali. Nella collettiva di fine residenza curata da Angel Moya Garcia alla Bevilacqua, ha presentato due tele enormi, una stanza buia, in scorcio dal basso verso l’alto e un bagno, con una grande vasca e ancora una porta; nessun corpo, come sempre, come se qualcuno fosse appena uscito e ora riposi nella memoria: Niente, oltre a mia madre, mi è stato madre quanto questa vasca.

Siamo nel 2023. Chi abita queste rappresentazioni? chi sta vicino all’occhio che vede e dipinge? Cerco qualcosa di Andrea Malagamba e trovo Quell’ombra io sono, titolo parziale di un saggio su Montale. Sì, quest’ombra. Arianna me la immagino nell’ombra che vede, sente, dipinge; da lì tutto parte; ombra e luce si amalgamano attraversano ogni solido oggetto, si impastano in gradazioni continue: Cabine de decompression. «siamo fatti di vetro soffiato… l’unica cosa buona sta nel soffio», dice Valerio Magrelli. Il soffio è ciò che agita la materia, che scalda la nebbia e, nella pittura, le velature.

Sempre nel 2023 la sua personale a Roma, Stanza iperbarica, presso Galleria Ex Elettrofonica. Uscire dalla stanza? Sì, è necessario.

Ho l’impressione che il registro poetico che lei associa ad alcune pitture tenga Arianna ancorata a un’intimità aneddotica. Qualcosa non mi convince in queste stanze con scorci di ispirazione fotografica. Sembrano strategie per catturare l’attenzione, per esplicitare didascalicamente un evento, quando la forza della sua pittura a olio è, forse, intorno agli oggetti, nel vuoto dell’aria che si scalda e si raffredda; pittura che immerge la materia e la rende liquida. Deve succedere qualcosa.

I passaggi di Arianna sorprendono, come Sguardo contundente, realizzato in occasione della residenza prima della mostra. L’impatto della luce all’uscita delle chiese, l’abbaglio che ferisce, attraversa la cornea e diventa scossa nervosa nella testa. Parliamo di altri lavori recentissimi, ad esempio i notturni di un viaggio in auto verso Vienna: sette ore con la paura dell’autostrada da vincere. Mi mostra le immagini dei dipinti segnati dalle luci artificiali, che tracciano e agitano lo spazio attraversato dalla macchina come in una vertigine. Non più ‘contemplazione’ ma ‘essere attraversati’. Una qualità e una maturazione interessante. «Vorrei separare i due mondi, poesia e pittura…» sì, anche questo mi pare un passaggio rilevante, perché la pittura non deve rischiare di illustrare l’aura delle parole scritte, anche quando alcuni autori sembrano più precisi di una velatura, quanto alimentarsi della voce e del sensibile che precede il verso: lì navighiamo tra le immagini. E i corpi? Mi manda un jpg… un volto… fatto di ombre. Li vedremo presto.