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panorama

Antonio Finelli

Campobasso 1985
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Marcello Francolini
24 luglio 2024

         

Passeggiando per le vie di Centocelle, nella Capitale, ciò che mi colpisce subito è il gran numero di nomi di piante e di botanici, come se l’intero quartiere fosse a forte propensione odonomastica botanica. Mentre cerco a piedi il civico dell’artista Antonio Finelli mi tornano in mente le riflessioni di Gombrich sugli erbari medievali. Non è un caso, penso, una volta dentro lo studio, il fatto di imbattermi in una galleria di disegni, in cui l’approssimato, l’incompleto, l’epidermico si fanno ‘sostanza’ evidente di quei modelli su carta. Vorrei chiarire da subito che l’uso del sostantivo è ben diverso dall’aggettivo. Mentre quest’ultimo denota le qualità di una cosa, il primo ne denota invece l’essenza.

La puntualizzazione è importante per capire sin da subito il tipo di ricerca che porta avanti Finelli. Il disegno è il mezzo, ma non in senso lato inteso come ‘genere del disegno’, ma piuttosto come strumento, con cui decostruire e ricostruire possibili immaginari. Potremmo farci un’idea pensando a certi disegni di Rolant Savery. I soggetti di Finelli sono lì davanti a noi e ci scrutano così come scrutavano l’artista nell’attimo in cui li ritraeva dal vivo. Descrivendo questi soggetti dovremmo pensare a un tempo verbale presente. Ci sono anche dei disegni di Poussin in quali soggetti sono possibili solo pensandoli con un tempo verbale condizionale, giacché sono sempre a proposito di mitologia. Questa riflessione sul genere del disegno ci ha fatto pensare ai ‘tipi’ specifici dei ritratti. Questo tipo di considerazioni non valgono per i soggetti di Finelli, giacché non essendo completi, non arrivando a definire alcunché, restano completamenti aperti a una variazione amplissima di ipotesi. Ogni sguardo un diverso soggetto. Allora non essendovi soggetti, ma solo approssimazioni, viene fuori un modo di impiegare il disegno al pari di un esercizio spirituale, progressivo, ridondante.

Il disegno diviene così una pratica processuale, che risponde pienamente alle dinamiche dell’opera d’arte nel XXI secolo, così com’è evidente da tutto il materiale-panorama prodotto in questi due anni d’incontri e mappature delle nuove generazioni di artisti contemporanei italiani. Questo modo di utilizzare il disegno per negarlo produce atti di libera immaginazione cosciente. Non essendovi un soggetto proprio, non vi è una cosa da vedere e su cui porre la riflessione; una non-cosa è tutt’altro, la si può vedere solo visualizzandola nella mente, come nel caso della serie di Untiled 2019-2022, materiale messo insieme per la mostra Contatto di segni presso la Fondazione Molise (2023): una riflessione sulla riflessione, un meccanismo completamente ipotetico che stimola l’immaginazione a procedere fino al raggiungimento di una forma finale. Tutto questo processo è indotto per parte dall’artista, attraverso l’ausilio di una forma indeterminata, ma è sostanzialmente mosso, agito dall’osservatore stesso, che in questo svolgersi dell’immaginazione vive un’esperienza concreta, sul versante della realtà. Questa dinamica si presenta come un’attività libera che utilizza una non-immagine come risposta all’uso iper-immaginativo della realtà storica attuale: dalla fake news, ai prompt per le immagini generative. Quanto l’esperienza della realtà è concreta, e non invece mediata da sistemi sempre più sofisticati nell’estrarre dall’immagine una pervicacia capace di orientare le scelte?

In questo momento l’artista sta portando avanti un progetto complesso, che ha a che fare con la costruzione di un archivio di ritratti per il mantenimento della memoria storica di Roccapipirozzi (2022-2024). Molti dei borghi del Molise stanno subendo lo stesso destino, quello dello spopolamento. Tra essi, Roccapipirozzi è tra i più colpiti, con una presenza demografica di appena 70 abitanti. Una prima fase del lavoro ha consistito in una dinamica relazionale di approccio diretto con la comunità. L’artista, nel corso dell’ultimo biennio, in vari momenti, ha fatto interviste, condiviso il tempo, scattato fotografie, raccogliendo il materiale di base da cui produrre poi dei segmenti di corpo. Le mani per un carpentiere, o le rughe del tempo di una vecchia signora. A proposito di tempo e di vecchie signore, viene in mente una delle ultime opere di Giorgione, una sorta di natura morta ante litteram, nel quale la vecchia rappresentata è la consumazione stessa, che ormai incombe sul suo stato fisico mentre sta andando sull’isola del Lazzaretto Nuovo, dove solitamente venivano condotti gli appestati di Venezia. Ancora, nella vecchia di Finelli questo è presente a uno stato primario, si intuisce la rugosità della pelle, ma non definendosi nessun aspetto fisso, esso rimane aperto ad essere orientato dal senso dell’osservatore. E come se i volti rappresentino solo un’occasione per indagare le zone epidermiche, lasciarne venire fuori un campionario, del tipo degli erbari medievali di cui parlava Gombrich (Art and Illusion 1960). Non erano realmente delle piante, ma solo dei modelli mnemonici di possibili modi d’essere della natura.

Punti deboli sono il rischio di compiacersi della propria scoperta: un tale uso del disegnare deve ispessire la propria teoria della forma, con ulteriori elementi, come nel caso dell’ultimo progetto, capace di tenere dentro sia l’indagine che il risultato. Il momento esplorativo diventa così vieppiù necessario per aumentare lo spazio stesso di conoscenza e quindi di nuova immaginazione per l’osservatore. In definita, questa sembra la nuova strada intrapresa da Antonio Finelli; non resta che aspettarlo sul Varco.