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panorama

Antonella Pagnotta

Salerno 1961

Vive e lavora a Salerno

Studio visit di Marcello Francolini

Al limite del confine della città di Salerno, dove la presenza massiva di antichi forni ricorda la preminenza dell’agricoltura, una porzione fuori tempo di borgo ottocentesco ospita lo studio dell’artista Antonella Pagnotta. Il dato anagrafico è, da subito, inversamente proporzionale alla freschezza sempiterna della sua ricerca, le cui investiture plurime di materiali e colori e di artefatti, funzionano come ottimo anti-age. D’altronde la sua stessa presenza vanifica qualsiasi tentativo di previsione cronologica. Antonella si mantiene tale attraverso tutte le altre ‘antonelle’ che proliferano nei suoi mondi subalterni. Lo studio è come una grande e complessa macchina catottrica, in cui la sua immagine, rispecchia in altre sue mille immagini. Sotto l’arco dinnanzi all’ingresso, se ne sta la serie dei Sette giorni della creazione (2022), sette volti, altrettante ‘antonelle’, per sette opere, in cui l’immagine è congegnata secondo la sovrapposizione di zone dipinte su sette lastre sovrapposte. Il volto immanente, potremmo dire, giacché ciò che realmente si vede è una rielaborazione dell’occhio per sovraimpressione di zone colorate su diversi piani, secondo un’astrazione proiettiva dei concetti tramutati in forma, per mezzo dell’intuizione dell’autoritratto. Così il limite del proprio volto diviene uno spazio altrui, spersonalizzato, entro cui compiere rielaborazione di concetti e valori universali, nel tentativo di creare nello spazio interiore, uno spazio plurale, collettivo. L’artista, così, pone al centro della sua ricerca l’azione del ritrarre, qui intesa come espansione del concetto sia in riferimento al ri-trarre che al pro-trarre, intendendo con ciò asserire entrambi i movimenti di distanziazione e di avvicinamento verso la, o rispetto alla, “cosa”. Gli Euclidei (2021) sono, ad esempio, un trittico a proposito della forma pura dei triangoli euclidei, nati sulle pratiche della divisione dei terreni fertili nell’antico Egitto. Tutto è sempre a partire dall’autoritratto, tre calchi in cartapesta, ottenuti dalla scansione tridimensionale dell’artista. Il profilo frontale è accentuato dal busto intagliato in corten su misura del busto reale dell’artista. Ogni figura, a modo dei Trionfi della tradizione rinascimentale, sembra disporsi secondo un’allegoria di cui ogni elemento, in relazione agli altri, ne determina il significato specifico: dai materiali sul volto, all’immagine stratigrafica su diversi livelli di vetro, che, come copricapo, cinge la testa. Su questo piano di ricerca è interessante il secondo trittico, non ancora esposto, che indaga il senso simbolico della trinità (2022) attraverso possibili sigilli che divengono qui i copricapi di altrettante personificazioni, forse di spirito, anima e corpo per mezzo, sempre, di altrettante ‘antonelle’. Il percorso è intrecciato come se la ricerca dovesse sfociare ogni volta entro ambiti diversi, il ché da un lato mostra una produzione prolifera e attiva, ma a volte l’eccessiva varietà lascia indietro, e in modo non totalmente espresso, ricerche che non cercano perfezioni. Ad esempio, v’è la serie di lavori dei Panni stesi al sole (2016-’18), una serie di tele dalle tonalità effervescenti venute fuori dagli oli sapienti della tradizione futurista di Balla e Cangiullo, dove vengono riformulate immagini di foto personali dell’artista messe a nudo, come il sangue della prima notte nuziale, agli sguardi dei vicini nei sobborghi spagnoli della tradizione napoletana. Il teatro e l’azione drammatica sono sempre centrali e determinanti nella ricerca di Pagnotta, come si evince dai suoi cataloghi, nelle azioni determinanti di Corpo comune (2012) e Passare al bosco (2014). In queste due azioni vi è la scelta del proprio sé come spazio collettivo. Il suo corpo che diviene materia per altri artisti che lo rimpiegano per azioni di video-art. Corpo come spazio che agisce ma che è anche agito. In questa doppia possibilità trovano spazio altrettante serie che riguardano invece il corpo proprio, con le sue qualità e intelligenze particolari, come le serie dei Cinque sensi (2021) e dei Quattro temperamenti (2022). Ogni lavoro è in sé un microcosmo enciclopedico, a ogni denotazione corrispondono qualità, colori e materiali che rimandano e amplificano il concetto stesso. Formulazioni complesse alla cui base non può che esservi una ricerca continua e metodica, che di certo converge verso gli sforzi congiunti di questo XXI secolo, di ricucire i cocci lasciati sull’uscio del vecchio millennio.