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panorama

Angelo Marinelli

Monteiasi 1979

Vive e lavora a Roma

Studio visit di Daniela Trincia

Al fotografo Angelo Marinelli sta un po’ stretta l’idea di studio, circondato dai suoi lavori. In più, in questi giorni di traslochi, è maggiormente attratto dall’idea di uno ‘studio diffuso’, perché avverte di poter portare a compimento i suoi lavori ovunque. Così, per rendere più concrete e sovrapponibili le sue foto con la sezione di realtà che ha estrapolato nello scatto, alcune immagini le ha allestite fra gli alberi che circondano la casetta di campagna dove si rifugia per ossigenarsi dalle incombenze cittadine. Arrivato a Roma da circa vent’anni, si è laureato in disegno industriale e ha iniziato a lavorare come grafico e fotografo (è dall’età di sei anni che si rapporta con apparecchi fotografici e fotografia), acquisendo esperienza nell’illuminazione dei set fotografici nonché nella post-produzione. Formazione e studi che innegabilmente hanno aggiunto ulteriore padronanza della tecnica, perché acuito la capacità di prefigurarsi il risultato finale dei suoi progetti fotografici. Dopo aver vissuto per diversi periodi in altri Paesi, come Bali, Cina, Brasile, si è definitivamente stabilito nella capitale, continuando le sue incursioni nelle altre culture, da cui trae continua ispirazione. Già nei primi lavori, raccolti nel progetto Playground (2011-2013) si coglie la direzione del suo sguardo e della sua ricerca, quel filo rosso che attraversa i suoi scatti e li lega/collega alla sua più recente produzione, Oblivio. Il punto di partenza è il paesaggio, o meglio, il «ritratto del paesaggio», come Marinelli stesso lo definisce. Principalmente è interessato a condurre lo spettatore alla visione generale del luogo e trasmettere la sensazione di trovarsi immersi in quello spazio (da qui la scelta di grandi formati ,120/180 cm). «Mi interessa registrare la reazione antropologica dell’uomo nei confronti dell’ambiente. Tantissimi luoghi in Italia hanno subito un’evoluzione per seguire soprattutto una necessità economica e il territorio è stato devastato per un benessere. Quando questo tipo di benessere non è più primario, chi vive in quel luogo non si rende neanche più conto di trovarsi in un territorio di quel tipo», ed ecco allora gli scatti di un vivaio, di un villaggio per giochi estivi, di un grande magazzino, abbandonati e lasciati a sé stessi, con/senza identità. Seppure sappia usare benissimo programmi come photoshop non li utilizza mai per i suoi lavori perché, da parte sua, non c’è alcun intervento in post produzione. Tutte le serie che realizza non sono pensate per creare un archivio bensì per «registrare una sensazione»; non è un procedere documentaristico, ma un agire strettamente legato a un’impressione, a un’assenza di tempo: di fronte ai suoi scatti, il tempo e lo spazio si annullano, non si sa né dove e né quando siano stati realizzati. E, pertanto, diventano fondamentali per i suoi lavori l’inquadratura e, soprattutto, la luce. Tutte le foto sono fatte in determinate ore della giornata (inizialmente sempre serali) per ottenere quegli specifici colori e quelle determinate tonalità, a volte impastate, tanto da sembrare dipinte.

Fotografie, quelle di Marinelli, realizzate in contesti differenti, cittadini e non, centrali quanto periferici, che invitano a uno sguardo e a una riflessione più attenti di quello che è intorno a noi, dei segni incontrovertibili e spesso distruttivi che l’uomo lascia nell’ambiente in cui vive, senza porsi la preoccupazione delle possibili conseguenze, concentrato esclusivamente sul circoscritto presente. Scenari che, a volte, appaiono quasi apocalittici sono, al contrario, aree e luoghi reali che distrattamente attraversiamo ogni giorno, senza accorgerci del loro disfacimento e perdita di utilità e che, inconsapevolmente, entrano a far parte del paesaggio personale. Posti nati anche con specifiche finalità, tanto da conferire una puntuale identità al luogo e che, conclusosi lo scopo, rimangono come svuotati vessilli di un sordo consumismo, di una cultura dell’urgenza – come precisa Marinelli – che non si preoccupa dell’inesorabile erosione ambientale. Uno sguardo, dunque, sull’identità quanto sulle emozioni/sensazioni condivise di fronte al mistero dell’ineluttabile. Atteggiamenti che diventano ancora più urgenti nell’attuale emergenza ambientale, che spinge ognuno di noi a interrogarsi sul proprio agire e su quanto accade intorno. Una sollecitazione intima di quelle emozioni che dovrebbero richiamare anche a un maggiore impegno civico o, comunque, di consapevolezza. È un’estetica che appare poetica e sentimentale, utilizzata come esca per catturare lo spettatore, mettendolo di fronte a una realtà magistralmente mostrata come edulcorata quanto, invece, spietata.

Impegnato attualmente nella realizzazione di un nuovo progetto in progress centrato sui corpi tatuati, intesi come ‘appunti’ di vita, è stato immerso nella realizzazione della serie Oblivio. E il titolo introduce ulteriori dettagli alla pratica artistica di Angelo Marinelli: la passione per la mitologia nonché per la letteratura, altro campo da cui trae ispirazione. Per fermare quei dettagli, a volte anche infinitesimali, che velocemente potrebbero scomparire o che, per motivi contingenti, svaniscono, li blocca nelle sue fotografie. Nel paese delle ultime cose, di Paul Auster, ha trovato le denominazioni di sue suggestioni e osservazioni: un futuro distopico in cui non è possibile individuare la posizione e la grandezza del luogo narrato. Immagini per le quali mette altresì a disposizione gli strumenti per vederle ancora, come un microscopio o una lente di ingrandimento, oppure le coordinate per non perderle, come una bussola, o l’illusione della tridimensionalità, con dimenticati stereoscopi.

Dalle sue fotografie emerge una forte nota di romanticismo, spesso sottolineata negli scritti che lo riguardano, nonché un’estetica che lo avvicina molto alla pittografia. Al contempo, affiora un interesse nettamente antropologico. Tutte caratteristiche che trasmettono ai suoi lavori un’ingannevole mancanza di omogeneità e un deciso approccio estetico e manierato, a volte troppo intenzionale. Tuttavia, sono questi tratti che spingono lo spettatore non solo a superare l’iniziale impressione, ma anche ad approfondire quanto le immagini non svelano nell’immediato. Soprattutto, a cogliere l’urgenza dell’invito a una maggiore attenzione, soprattutto per non perdere la bellezza, arcana e sublime, di quanto ci circonda. A partire proprio da una maggiore consapevolezza dell’importanza di ogni singolo gesto dell’uomo sull’ambiente che lo circonda. Anche con una certa urgenza, prima che tutto sparisca. Per sempre.