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panorama

Andrea Francolino

Bari 1979

Vive e lavora a Milano

Studio visit di Alessandra Troncone

Di origini pugliesi, con un percorso formativo in scultura all’Accademia di Belle Arti di Bari, Andrea Francolino vive ormai da circa quindici anni a Milano. Il suo studio nei pressi di via Monza è un unico ambiente di lavoro che di recente ha visto la risistemazione di alcuni spazi con lo scopo di dar vita a una sezione dedicata all’archivio, al momento ancora in progress. A Milano è arrivato nel 2008 per partecipare come finalista al Premio San Fedele, poi vinto nel 2013/2014. Tra le mostre personali più recenti si annoverano quella al Museo del Novecento a Firenze, nel 2020, e l’ultima alla Galleria Mazzoleni a Torino (2022). Nel 2015 è stato tra i fondatori di The Open Box a Milano.

Già a partire dagli anni di formazione, Francolino comincia a indagare il vuoto e l’immateriale: ‘scolpire l’ombra’ è l’operazione impossibile e concettuale con cui, da studente, inizia a esplorare l’assenza e la sua possibilità di farsi materia. Dopo una serie di lavori su packaging e materiali di scarto che diventano occasione per lavorare sul reale, l’identificazione della rottura quale processo fisico e metaforico trova soluzione nell’elemento che diventa caratteristico della sua poetica: la crepa. Nella sua essenzialità, questa si fa punto di partenza per progetti anche molto complessi che tengono insieme la componente spazio-temporale: ogni “cattura” viene infatti registrata con le coordinate geografiche e l’ora esatta, che identificano quella crepa come unica. La restituzione avviene attraverso il procedimento dell’impressione su carta tramite ricalco, utilizzando tre materiali diversi che suggellano anche tre fasi di lavoro: la polvere di cemento (con cui documenta crepe in un intero anno solare, in una mostra alla Galleria Frittelli arte contemporanea a Firenze nel 2016), la polvere di terra, e l’acqua, che conferisce un aspetto meno grafico e più scultoreo al risultato finale, quasi trasformando le fratture in cicatrici. A dispetto del materiale scelto, il procedimento è lo stesso e punta a mettere in evidenza il vuoto creato dalla crepa stessa, che diventa così protagonista. Altre opere vedono invece la creazione di crepe ad hoc su pareti e soffitti, i cui bordi irregolari vengono poi messi in evidenza da materiali preziosi come oro e lapislazzulo.

La dedizione alla crepa come elemento in grado di inglobare i movimenti del paesaggio, le azioni dell’essere umano e un senso di fragilità intrinseco, si carica di molte suggestioni possibili, combinandosi a un risultato estetico che trasmette la delicatezza ma al tempo stesso la forza espressiva del gesto dell’artista. L’attenzione metodica al processo e alla documentazione rivela un’attitudine profondamente concettuale che conferisce intensità a questi lavori, riconoscibili nel metodo ma sempre diversi perché «non può esistere una crepa uguale all’altra», ribadisce l’artista.

Al momento Francolino sta lavorando a una pubblicazione che documenta la mostra alla Galleria Mazzoleni, a una mostra in preparazione per la primavera 2024 alla Galerie der Stadt Tuttlingen, ancora in collaborazione con Mazzoleni, e al prosieguo di alcuni progetti, tra cui un nuovo percorso annuale di ‘cattura crepe’, utilizzando l’acqua, e la realizzazione di bandiere da aggiungere al progetto La bandiera unica della Terra, nel quale i Paesi del mondo sono rappresentati non dai colori ma dalle coordinate geografiche del loro parlamento, su bandiere realizzate con elementi naturali (juta, bambù, polvere di terra). Un’altra possibile riflessione sulle fratture che in questo caso sono metaforicamente i confini geopolitici, dall’andamento discontinuo e frastagliato.

Il focus così preciso su un singolo elemento potrebbe alla lunga generare ridondanza e chiusura in uno schema predefinito, con il rischio di diventare una formula. Tuttavia l’obiettivo di Francolino è affrontare la crepa come punto di partenza per una ricerca aperta, mettendone in luce le diverse accezioni possibili, non solo dal punto di vista visivo-formale (utilizzando linguaggi e supporti sempre diversi, tra cui anche fotografia e video) ma anche da quello filosofico-esistenziale. Le radiografie fatte sullo spazio pubblico si fanno tramite per una riflessione sull’imponderabile, sul caso, e sulle leggi che regolano il rapporto tra controllo e caos, quindi tra essere umano e natura. Tra i lavori che più sottolineano questi aspetti c’è Caso x caos x infinite variabili (2018-2022), dove l’artista tenta di ricostruire l’esatta crepatura di un vetro arrivatogli rotto, su quattro livelli, creando una simmetria visiva che contrasta con le premesse di partenza: un’immagine essenziale che dona una nuova composizione a ciò che era scomposto.

Foto Giorgio Perottino