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panorama

Alice Visentin

Castellamonte 1993

Vive e lavora a Torino

Studio visit di Giacinto Di Pietrantonio, Francesca Disconzi

Per ora sono giacinti, ma se son rose fioriranno

Di Alice Visentin colpisce il background poetico, definibile come una sorta di utopia futura. Opere impregnate di quella magia che fa accadere le cose. Come quando, appena quattordicenne, andava a ‘lavorare’ nel laboratorio di ceramica della famiglia Filippi e vedeva prendere forma i “Pitociu”, statuette in terracotta dei mestieri di paese, posti poi a ornamento sui tetti e da cui molte delle figure dei suoi quadri provengono. Sono questi momenti fondamentali, esperienza di radici, primi attivatori della sua creatività a cui l’artista stessa riconosce un ruolo fondativo.

Da Castellamonte all’Accademia di Torino, dove è allieva di Marco Cingolani, il passo è breve. Qui conosce le compagne e compagni di corso con cui, nel 2015, fonda Spaziobuonasera, un’associazione no-profit di artisti. Un altro momento fondamentale e intenso dove Alice, lontana dalle sue radici, cerca di aprirsi al mondo.

L’esperienza la porta a riflettere e lavorare sull’idea di banda, con una serie di quadri ricchi di figure dai colori vivi, gruppi di amici che condividono esperienze. Una nuova idea di famiglia, in cui ci si sceglie e si sta insieme per affinità e non per parentela. Nello stesso periodo, Alice prende il suo primo studio a Torino nella zona dell’attuale Sporting Dora, all’interno dell’ex dopolavoro dei dipendenti Michelin. Questo luogo, con un ampio giardino, diventa punto di unione con la sua provenienza e le sue origini; è qui che rivede lo spazio del quadro, ispirata dalla quadratura di Martin Heidegger: uno spazio di libertà in cui si incontrano il cielo, la terra, i divini e i mortali, spazio incensurato di libertà. Inizia dunque ad ascoltare l’urgenza e non solo ad assecondare l’abilità. Non vuole diventare una professionista del materiale, ma seguire piuttosto l’ideale di autenticità, sperimentando diversi supporti con un approccio idromantico, che chiede alla superficie di autodeterminarsi. La pratica evolve poi, negli ultimi anni, in un approccio corale e orale. In questa fase il lavoro assume una dimensione collettiva che coinvolge e attiva energie locali. Ne è un esempio l’opera proposta per la rassegna territoriale Una boccata d’artead Avise, in Valle d’Aosta, in cui l’artista propone un’installazione di carte circolari dipinte ad acquerello che fluttuano nello spazio. Con un gruppo di persone appassionate, lavora con archivi canori, bande e cori. Un modo per riattivare l’oralità con storie quasi dimenticate, come quella del canto di una giovane donna, che affida al vento un messaggio struggente per il suo amato.

Il suo lavoro l’ha portata a essere selezionata per la ricostruzione della piazza di Limone Piemonte, con un progetto di murales in ceramica e una parte performativa messa in scena dalla danzatrice Ilaria Quaglia. Anche in questo caso, la narrazione passa attraverso la ricerca storiografica della comunità. L’opera è infatti un omaggio a le Cavallette, campionesse femminili di sci di fondo di Limone Piemonte, che negli anni Cinquanta entrano nella nazionale italiana di sci nordico conquistando numerosi podi in gare nazionali e internazionali. Furono selezionate per le Olimpiadi invernali, ma venne loro impedito di prenderne parte, in quanto gli sponsor preferirono finanziare la discesa libera maschile. Storie di resistenza si ritrovano nel progetto Le malefate, neologismo del termine malafatta, un errore di cucitura: una ricerca etnografica di storie di donne dimenticate e scomparse dalla rete tessuta dalla storia. Dal quadro violentemente rosso, I primi mille giorni d’oro, rimando ai primi 1000 giorni dei bambini per rimparare a conoscere, arriviamo alla serie di opere fatte durante l’ultimo lockdown, in cui la tavolozza si è scurita e i segni incupiti, ricordando gli Stati d’animo di Boccioni.