Roma 1987
Vive e lavora a Roma
Studio visit di Daniela Trincia
Al secondo piano del palazzo di via Arimondi, che dal 2004 ha visto nascere una comunità di artisti con i loro studi, sempre più numerosa (Dessì, Pizzicannella, Cricchi, Abate, Benassi, Di Silvestre, Colazzo, Botticelli, Silva, Migone, Pinzari, Amici, Asquini, Barlafante), Alice Paltrinieri ha allestito il suo studio nell’arioso soggiorno della propria casa. Dopo aver lavorato per un periodo nel cinema, si è completamente dedicata all’arte, vivendo in altre città europee per approfondire la personale conoscenza delle diverse tecnologie, parte integrante dei suoi lavori, che fondamentalmente si traducono in installazioni site-specific. Con residenze varie in Italia, ha esposto in diverse mostre, sia in spazi istituzionali (come al MAXXI nella collettiva Arte circolare, con Looking For A Safe Place) sia in luoghi non strettamente deputati all’arte (12V (x8), nella Stazione Lancetti di Milano). Tanti sono gli elementi che Alice Paltrinieri introduce e prende in considerazione nella realizzazione dei suoi lavori. Dopo quelli iniziali, che la vedevano più incline alla scultura, nel 2019 si registra una radicale svolta. Nelle sue “azioni”, attraverso sensori, software e circuiti sofisticati, conduce l’esplorazione di un luogo, «incorniciando quello che c’è in quello spazio», ponendolo in connessione con altri luoghi geograficamente distanti tra loro, ricondotti, così, in un unico spazio che diviene un luogo altro, dove c’è sovrapposizione e condivisione di luoghi, di eventi e di chi lo vive. In questo modo crea una mappatura delle esperienze, nonché la relativa memoria. Altro elemento caratterizzante è la casualità: sebbene ci sia la volontà di controllare tutte le eventuali possibilità, intervengono fattori sconosciuti che creano l’incognita del risultato finale. Elemento principale di ogni opera, tuttavia, è il fruitore, attivatore dell’intero processo. Via Val Padana – Sc. D / int. 3 è il lavoro che segna la svolta accennata: attraverso la ricostruzione puntuale, quasi maniacale, di tutti i dettagli dell’appartamento della sua famiglia e, quindi, della sua infanzia, introduce quell’elemento di narrazione intima e personale, fino ad allora poco manifesto. Looking For A Safe Place: dieci display LCD dove sono registrati i percorsi quotidiani compiuti dall’artista e da suo padre a Roma per un mese, che creano forme geometriche di colore rosso, che gradualmente occupano tutti gli schermi, alla stessa stregua di come l’uomo conquista progressivamente un territorio. 145.968 è, invece, una cena, un’interazione con altri artisti e una stampa in 3D di un oggetto, nello specifico, di un uovo.
Circondati come siamo dalla tecnologia, l’artista ne indaga le applicazioni, nonché le possibilità che può offrire per creare connessioni, interazioni, ricordi, che altrimenti non sarebbero possibili e che andrebbero definitivamente persi. Un’inedita forma diaristica che supera la parola, include l’azione (pressoché performativa) e accumula quelle tracce che, unite, costruiscono i segni di una memoria, sì personale ma, anche, di quel numero di persone che hanno attraversato, condiviso e fruito quello spazio, in quel lasso di tempo, narrandone i passaggi e il vissuto.
Diversi sono i progetti cui si sta dedicando contemporaneamente, tra cui quello delle stampanti 3D, avviato con la cena organizzata con Palazzo Taverna, che vuole riorganizzare in altri contesti, per creare nuove interazioni.
Essendo i suoi lavori, oltre che fortemente concettuali, estremamente intangibili, necessitano inevitabilmente, a monte, di un supporto esplicativo, che illustri al fruitore le coordinate del progetto. Fruitore che, alla fine, è solo una pedina dell’intero meccanismo e che, durante la sua esperienza dell’azione, non potrà mai averne conto nella sua interezza, nonché dei possibili esiti, se non in un secondo momento. Tutto ciò persuade, non solo a guardare i luoghi che ci circondano, con uno sguardo nuovo, con la consapevolezza di una fruizione collettiva ma, anche, a vedere tradotto, in maniera tangibile, ciò che in realtà è impalpabile, come le interazioni, le relazioni, i possibili nessi, e, soprattutto, la casualità. Un nuovo modo di interpretare lo spazio, non più come elemento passivo, che sopporta chi lo attraversa, bensì come entità attiva capace di trasmettere una memoria.