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panorama

Alice Guareschi

Parma 1976
Vive e lavora a Milano
Studio visit di Marco Scotti

Nello stesso palazzo, nel cuore di Città Studi a Milano, Alice Guareschi si muove tra l’abitare e il lavorare, con lo studio affacciato sul cortile, a pochi piani di distanza dall’appartamento dove vive. «La dimensione del mio studio è proprio quella di raddoppiare lo spazio domestico, senza però diventare domestico. Uno spazio tranquillo, piuttosto vuoto, dove a volte posso anche non avere nulla intorno». Il gesto di isolare, l’oscillazione tra le percezioni del tempo, tra l’incommensurabile e l’estremamente piccolo, una costante ricerca di senso. Il lavoro di Alice Guareschi si muove tra diverse polarità, lavorando sul dettaglio, riprendendo echi e frammenti da altri discorsi, anche trovati casualmente, e costruendo nuovi contesti dove sviluppare spazi in potenza. Un esempio è Era già lì, ben prima dell’inizio e dopo la fine, o viceversa, la tribuna realizzata nel 2006 nel giardino del Centro culturale francese: una struttura in tubi innocenti che prescindeva da qualsiasi spettacolo o dalla messa in scena di qualcosa, suggerendo, piuttosto, delle possibilità.

Togliere per moltiplicare. Quello di Alice Guareschi è un lavoro fatto di dinamiche che ritornano, che portano al presente. Il progetto in corso, Je m’appelle Olympia – tra i vincitori del bando PAC 2021 in collaborazione con il Museo MAN di Nuoro, dove l’artista avrà una mostra personale a luglio – riparte dal discorso aperto con la mostra This and There, a cura di Claude Closky, fatta nel 2012 a Parigi alla Fondation Pernod Ricard, in occasione del decennale del Pavillon del Palais de Tokyo. Lì, esposte, c’erano solo le tracce di qualcosa che doveva svolgersi altrove, e Alice Guareschi – con ancora in mente le immagini di un concerto di Anna Calvi visto proprio all’Olympia – aveva infatti attivato nello storico teatro parigino un’azione per luci di sala, basandosi su una partitura scritta solo per le house lights. «Ho immaginato che quello spazio, così carico di storia, potesse in qualche modo risvegliarsi, e sprigionare silenziosamente, attraverso una coreografia luminosa, tutta l’energia accumulata nel corso degli anni». Oggi le fotografie di quell’azione, scattate da Giasco Bertoli su precise indicazioni dell’artista, diventano la versione spaziale dell’opera destinata alla mostra, e saranno anche raccolte in un leporello, un piccolo libro d’artista edito da NERO.

Lo studio è uno spazio bianco, con le pareti libere, qualche scaffale e tavoli su cui sono appoggiati i lavori in divenire. Tra questi le matrici per quella che sarà la sua prima fusione. Nel 2014 ha realizzato Untitled (Quotation Marks), una coppia di virgolette in argilla da installare a parete, e ora le sta ripensando in bronzo, su commissione di una collezionista. «È da tempo che ci penso, adesso finalmente mi sembra di avere lo spazio per godermi l’esplorazione di una tecnica mai provata prima. Lo confesso: spesso rifuggo il passaggio dalla matericità». Anche questo lavoro si riallaccia in tanti modi alla sua produzione precedente: nel 2010, presso la galleria Alessandro de March, con la mostra Quoted Values and Outer Spaces, Guareschi richiamava fin dal titolo lo spazio tra le virgolette di una citazione. «Uno spazio vuoto, che esiste in sé, a prescindere dal contenuto».

Giorno, una stampa offset su carta, edizione prodotta da Treccani Arte – progetto Utopia nel 2022, riprende la stessa frase, «giorno dopo giorno», che, declinata in tre scritte al neon, andava a comporre l’installazione luminosa permanente realizzata nel 2019 nel quartiere Chiesa Rossa e Stadera a Milano. Parole che nello spazio pubblico tornavano a riflettere sul tempo. «Una frase palindroma, priva di soggetto e di indicazioni temporali precise, ma che rimanda a una continuità e alla potenzialità infinitamente mutevole di chi legge». «Mi piace avere la possibilità di attivare un lavoro, di avviare un meccanismo, e poi evitare le parti manuali che in un certo senso mi rallentano, ma seguire invece nel dettaglio il prendere forma dell’opera». Il metodo progettuale di Alice Guareschi è un continuo confronto con la ricerca di forme di libertà, che prende avvio da esperienze soggettive e personali, parole e frasi trovate, lette o ascoltate e annotate su una serie di quaderni, oggi quasi settanta. Dieci di questi sono entrati a far parte – chiusi, come dichiarazione di poetica – di quello che è stato il suo primo lavoro tridimensionale, Quaderni, esposto nel 2002 insieme al video Private Anthology nella mostra Exit. Nuove geografie dell’arte in Italia, curata da Francesco Bonami alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.

La ricerca di Alice Guareschi non è riconducibile a una tecnica privilegiata, né tantomeno a un tema preciso, ma la si ritrova nella creazione di spazi per contenuti potenziali, nello studio di dinamiche linguistiche, di esperienze, che lasciano il discorso aperto, senza riferimenti univoci.